GENESI - (09/06/14)


CANALE:

film performance di e con Benedetto Simonelli Genesi dell'immagine vivente. (per Benedetto Simonelli) di Bruno Roberti L'impressione di un paradosso, la sensazione di una esperienza limite che si manifesta in un ossimoro: questa potente trasmissione di uno stato ( che ha un peso specifico, una intensità, una energia, una forza ) è ciò che ho sempre avvertito davanti alle performance di Benedetto Simonelli e che ora con questo Discorso su una genesi passa attraverso l'immagine filmata. Lo stato liminale ha a che fare con una consistenza dell'invisibile, cioè incontrare consistenze fisiche, naturali forzando il mezzo fino al punto da renderlo una sorta di materia viva, una sostanza che è tramite di qualcosa di volatile, di ultrafisico. All'inizio del secolo scorso uno scrittore visionario, molto amato dai surrealisti, Saint-Paul Roux, preconizzava uno stato diverso del cinema: immagini che si sarebbero manifestate, incarnate, materializzate direttamente nell'ambiente reale, naturale, circostante, attraverso una condensazione dei raggi solari. Lo schermo sarebbe stato dunque lo spazio che ci avvolge, e le immagini avrebbero acquistato volume, e avrebbero abitato una dimensione coalescente ai nostri corpi. Tutto ciò lo si trova scritto in un piccolo libro, dal titolo significativo Cinema vivente. Ecco, al di là  della dicotomia virtuale-reale, ciò che potrebbe aprirsi lungo la strada di una ricerca di un nuovo stato dell'immagine, è appunto la possibilità  di manipolare le immagini proprio tattilmente, in modo aptico, ma anche in modo magnetico, cioè mettendo in gioco gli elementi naturali, la sensorialità  che ci investe, insieme a una energia sottile che attiene all'esserci, allo stato vivente, alle forme di vita. In modo da ottenere immagini che siano ventose, che siano bagnate, che siano infuocate, che siano telluriche, E' proprio quello che mi pare faccia Benedetto Simonelli: e non a caso usa il termine genesi . Ciò mi fa pensare a un movimento filogenetico delle immagini, al loro dischiudersi, a un moto che non è solo nascita ed epifania, non è solo ricerca creativa, ma è proprio produzione, formazione, lavoro nel processo originario di un vedere che è contemporaneamente un fare. E che è, e ciò in Simonelli è diventato via via più importante, un parlare, la nascita verbale di una parola che sia però fattuale, che sia carne : 'caro factum est'. Il discorso allora si articola proprio in questa zona liminale in cui l'immagine si fa attiva e questa attività, che si materializza in una luce e in un fluire luminoso-scuro di elementi, genera una parola, la articola lungo un cammino silenzioso , la ritrova a seguito di un mutismo che ha a che vedere con un mistero ( i riti misterici avevano la caratteristica della rivelazione visiva nel silenzio di una immagine naturale davanti alla quale si diventava in-fans, fanciulli muti, mistero da muto, chiudere la bocca ), e nello stesso momento con una sorta di giubilo, di movimento giubilatorio che è appunto un corpo parlante ( vociante o cantante, o meglio ancora un corpo sonoro, un discorso naturale che è anche risonante ). Benedetto Simonelli ha raccontato una volta di una esperienza infantile che ha messo in rapporto a Genesi, a questo bilicare tra silenzio e parola : il solo e necessario modo per entrare nel lavorìo che Benedetto affronta, nel termine lavorìo c'è la fatica e il continuo fare e disfare, trasformare, ritornare da presso e prendere le distanze, laddove l'epifania dell'immagine, non potendo essere distinta dall'epifania in quanto esserci e in quanto parola, a questa sua emozione nell'atto del parlare, è proprio una esperienza filogenetica. Era un bambino piccolo e fu portato al mercato di Piazza Vittorio dalla madre, avvenne una perdita del contatto con la madre, per cui, dopo il vissuto di un certo sgomento, ci fu una perdita della parola, che aveva a che fare con il ritrovamento, con il riconoscimento ( e con uno stato 'matricale', generativo, oltre che con l'orientamento-disorientamento in uno spazio ). 'Abbiamo trovato un bambino ma è muto, non parla'. Qui c'è appunto la genesi, l'epifania della modalità  espressiva di Benedetto, che attinge in tal modo anche a un racconto, un racconto di gesti che ritrova la parola come eco naturale, specchiamento negli elementi, sdoppiamento del proprio essere nel manifestato, nello specchio naturale. La successione di gesti e azioni possono costruire performativamente un tessuto narrativo, un testo sonoro che esprime ritmo e ripercussione ( in tal senso Benedetto coglie i suoni naturali e li ripercuote con la parola, così come per le sue performance registrava per la strada i suoni urbani). Ma trattandosi di cinema, qui ciò che interviene è appunto la ricerca di uno stato vivente dell'immagine. E' l'immagine che dischiude il dire e che dispone un tragitto di coscienza per 'cogliere la realtà  così come si manifesta', un percorso iniziatico che permetta un rinascere del vedere, 'come se potessimo vedere per la prima volta'. E ciò si colloca in un punto di apprensione e di sospensione, la macchina da ri/presa diventa una sorta di arto invisibile, diventa un occhio pineale, un occhio interno estroflesso, insieme immanente e trascendentale, che possa dar luogo da una apparente inerzia ad una vitalizzazione, una reviviscenza, ciò che Warburg chiamava una sopravvivenza ( Nachleben ) delle immagini. E ciò avviene innestando una empatia, cioè il ripercorrere, lungo un territorio magico, vitalizzato, magnetizzato, il dischiudersi, il nascere di uno stato immaginale. Genesi è una immanenza e insieme una trascendenza dell'immagine, e procede a rimettere in gioco cose molto antiche, per esempio il 'Poema sulla natura' di Parmenide che costituisce un gesto inaugurale filosoficamente: la necessità  che l'essere sia, che sia in quanto pensabile e lo fa con un poema in cui il confine tra il rito, il territorio sacro della visione, dell'estasi e la filosofia,sia mobile, liminale, messo in immagine e insieme riarticolato in parola, sentiero dell'essere che 'tien dietro alla verità'. C'è anche l'orizzonte inaugurale e trasformativo di un fare alchemico, in cui, il lavorìo degli/sugli elementi, connette la ritualità precisa del gesto con uno stato fisico-chimico del fenomeno inerente alle immagini. Un orizzonte in cui l'immagine è portata alla sua feccia, resa talmente nera da essere inconsumabile, e diventare residuo, pietrisco, cenere, arbusto bruciato, sasso d'inciampo, scandalo nudo della forma vivente. Quello scandalo che è il dire che il cinema è pensiero, e lo è alle radici nel momento in cui il bios, l'èlan vital, la forza inerente alle immagini diventa il pensabile e insieme l'impensato,la materia vitale, la vis, la forza, il fluire esperenziale del nostro vivere, che contiene già  in sè, a prescindere dal meccanismo tecnico il principio del 'filmare', il lavoro della durata e la consumazione di questa durata. Ecco, Genesi è una sorta di laico oratorio, di messa arcaica e filmica, in cui, attraverso l'occhio estroflesso della nostra percettività, si riprende e si restituisce la vita delle immagini e le immagini viventi, e, in questa restituzione-reminiscenza dell'immagine nella-della vita stessa, si accede a un vedere l'invisibile, il tempo, il lavoro della morte, il fantasmatico. Ciò che l'occhio interno-esterno della macchina da presa/corpo di Benedetto effettua è l'accedere a uno stato eternale del rifare il mondo, rifare la natura e nello stesso tempo sentire, sentire con tutto il corpo il resto vitale, ciò che nell'essere gettato nel mondo, nel terreno, come un seme, ri-genera le immagini, che fuoriescono dal solco del terreno così come passano e si trasformano, nel passo del frame, del fotogramma come cifra arcana, geroglifico della materia filmica, atto a trasformare gli elementi, e a farci ritrovare-rivedere il mondo.

film performance di e con Benedetto Simonelli Genesi dell'immagine vivente. (per Benedetto Simonelli) di Bruno Roberti L'impressione di un paradosso, la sensazione di una esperienza limite che si manifesta in un ossimoro: questa potente trasmissione di uno stato ( che ha un peso specifico, una intensità, una energia, una forza ) è ciò che ho sempre avvertito davanti alle performance di Benedetto Simonelli e che ora con questo Discorso su una genesi passa attraverso l'immagine filmata. Lo stato liminale ha a che fare con una consistenza dell'invisibile, cioè incontrare consistenze fisiche, naturali forzando il mezzo fino al punto da renderlo una sorta di materia viva, una sostanza che è tramite di qualcosa di volatile, di ultrafisico. All'inizio del secolo scorso uno scrittore visionario, molto amato dai surrealisti, Saint-Paul Roux, preconizzava uno stato diverso del cinema: immagini che si sarebbero manifestate, incarnate, materializzate direttamente nell'ambiente reale, naturale, circostante, attraverso una condensazione dei raggi solari. Lo schermo sarebbe stato dunque lo spazio che ci avvolge, e le immagini avrebbero acquistato volume, e avrebbero abitato una dimensione coalescente ai nostri corpi. Tutto ciò lo si trova scritto in un piccolo libro, dal titolo significativo Cinema vivente. Ecco, al di là  della dicotomia virtuale-reale, ciò che potrebbe aprirsi lungo la strada di una ricerca di un nuovo stato dell'immagine, è appunto la possibilità  di manipolare le immagini proprio tattilmente, in modo aptico, ma anche in modo magnetico, cioè mettendo in gioco gli elementi naturali, la sensorialità  che ci investe, insieme a una energia sottile che attiene all'esserci, allo stato vivente, alle forme di vita. In modo da ottenere immagini che siano ventose, che siano bagnate, che siano infuocate, che siano telluriche, E' proprio quello che mi pare faccia Benedetto Simonelli: e non a caso usa il termine genesi . Ciò mi fa pensare a un movimento filogenetico delle immagini, al loro dischiudersi, a un moto che non è solo nascita ed epifania, non è solo ricerca creativa, ma è proprio produzione, formazione, lavoro nel processo originario di un vedere che è contemporaneamente un fare. E che è, e ciò in Simonelli è diventato via via più importante, un parlare, la nascita verbale di una parola che sia però fattuale, che sia carne : 'caro factum est'. Il discorso allora si articola proprio in questa zona liminale in cui l'immagine si fa attiva e questa attività, che si materializza in una luce e in un fluire luminoso-scuro di elementi, genera una parola, la articola lungo un cammino silenzioso , la ritrova a seguito di un mutismo che ha a che vedere con un mistero ( i riti misterici avevano la caratteristica della rivelazione visiva nel silenzio di una immagine naturale davanti alla quale si diventava in-fans, fanciulli muti, mistero da muto, chiudere la bocca ), e nello stesso momento con una sorta di giubilo, di movimento giubilatorio che è appunto un corpo parlante ( vociante o cantante, o meglio ancora un corpo sonoro, un discorso naturale che è anche risonante ). Benedetto Simonelli ha raccontato una volta di una esperienza infantile che ha messo in rapporto a Genesi, a questo bilicare tra silenzio e parola : il solo e necessario modo per entrare nel lavorìo che Benedetto affronta, nel termine lavorìo c'è la fatica e il continuo fare e disfare, trasformare, ritornare da presso e prendere le distanze, laddove l'epifania dell'immagine, non potendo essere distinta dall'epifania in quanto esserci e in quanto parola, a questa sua emozione nell'atto del parlare, è proprio una esperienza filogenetica. Era un bambino piccolo e fu portato al mercato di Piazza Vittorio dalla madre, avvenne una perdita del contatto con la madre, per cui, dopo il vissuto di un certo sgomento, ci fu una perdita della parola, che aveva a che fare con il ritrovamento, con il riconoscimento ( e con uno stato 'matricale', generativo, oltre che con l'orientamento-disorientamento in uno spazio ). 'Abbiamo trovato un bambino ma è muto, non parla'. Qui c'è appunto la genesi, l'epifania della modalità  espressiva di Benedetto, che attinge in tal modo anche a un racconto, un racconto di gesti che ritrova la parola come eco naturale, specchiamento negli elementi, sdoppiamento del proprio essere nel manifestato, nello specchio naturale. La successione di gesti e azioni possono costruire performativamente un tessuto narrativo, un testo sonoro che esprime ritmo e ripercussione ( in tal senso Benedetto coglie i suoni naturali e li ripercuote con la parola, così come per le sue performance registrava per la strada i suoni urbani). Ma trattandosi di cinema, qui ciò che interviene è appunto la ricerca di uno stato vivente dell'immagine. E' l'immagine che dischiude il dire e che dispone un tragitto di coscienza per 'cogliere la realtà  così come si manifesta', un percorso iniziatico che permetta un rinascere del vedere, 'come se potessimo vedere per la prima volta'. E ciò si colloca in un punto di apprensione e di sospensione, la macchina da ri/presa diventa una sorta di arto invisibile, diventa un occhio pineale, un occhio interno estroflesso, insieme immanente e trascendentale, che possa dar luogo da una apparente inerzia ad una vitalizzazione, una reviviscenza, ciò che Warburg chiamava una sopravvivenza ( Nachleben ) delle immagini. E ciò avviene innestando una empatia, cioè il ripercorrere, lungo un territorio magico, vitalizzato, magnetizzato, il dischiudersi, il nascere di uno stato immaginale. Genesi è una immanenza e insieme una trascendenza dell'immagine, e procede a rimettere in gioco cose molto antiche, per esempio il 'Poema sulla natura' di Parmenide che costituisce un gesto inaugurale filosoficamente: la necessità  che l'essere sia, che sia in quanto pensabile e lo fa con un poema in cui il confine tra il rito, il territorio sacro della visione, dell'estasi e la filosofia,sia mobile, liminale, messo in immagine e insieme riarticolato in parola, sentiero dell'essere che 'tien dietro alla verità'. C'è anche l'orizzonte inaugurale e trasformativo di un fare alchemico, in cui, il lavorìo degli/sugli elementi, connette la ritualità precisa del gesto con uno stato fisico-chimico del fenomeno inerente alle immagini. Un orizzonte in cui l'immagine è portata alla sua feccia, resa talmente nera da essere inconsumabile, e diventare residuo, pietrisco, cenere, arbusto bruciato, sasso d'inciampo, scandalo nudo della forma vivente. Quello scandalo che è il dire che il cinema è pensiero, e lo è alle radici nel momento in cui il bios, l'èlan vital, la forza inerente alle immagini diventa il pensabile e insieme l'impensato,la materia vitale, la vis, la forza, il fluire esperenziale del nostro vivere, che contiene già  in sè, a prescindere dal meccanismo tecnico il principio del 'filmare', il lavoro della durata e la consumazione di questa durata. Ecco, Genesi è una sorta di laico oratorio, di messa arcaica e filmica, in cui, attraverso l'occhio estroflesso della nostra percettività, si riprende e si restituisce la vita delle immagini e le immagini viventi, e, in questa restituzione-reminiscenza dell'immagine nella-della vita stessa, si accede a un vedere l'invisibile, il tempo, il lavoro della morte, il fantasmatico. Ciò che l'occhio interno-esterno della macchina da presa/corpo di Benedetto effettua è l'accedere a uno stato eternale del rifare il mondo, rifare la natura e nello stesso tempo sentire, sentire con tutto il corpo il resto vitale, ciò che nell'essere gettato nel mondo, nel terreno, come un seme, ri-genera le immagini, che fuoriescono dal solco del terreno così come passano e si trasformano, nel passo del frame, del fotogramma come cifra arcana, geroglifico della materia filmica, atto a trasformare gli elementi, e a farci ritrovare-rivedere il mondo.
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