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Non ti vedo da vicino

Teatro Sette 13 Aprile 2018
NON TI VEDO DA VICINO
di Alessandra Merico
con: Enzo Casertano, Fabio Avaro, Danila Stalteri, Alessandra Merico
regia: Vanessa Gasbarrri
Un ironico e romantico Enzo Casertano interpreta Filippo, inventore di giochi e rompicapo, poco incline alle convenzioni sociali e amante del silenzio più assoluto, che si ritrova come vicina di casa Aurora, una buffa e simpatica Alessandra Merico, ragazza timida e impacciata che si sta preparando per un’importante esibizione al pianoforte. A separare le loro vite una sottile parete che non gli consente di vedersi, ma che li porta a condividere, loro malgrado, parte della loro vita privata. Se dapprima nessuno sembra più incompatibile, col passare dei giorni i due decidono di instaurare una relazione. Ma con un’unica regola: non vedersi mai. A complicare le cose ci si mette la guerra tra Anna, la giocosa ed irriverente Danila Stalteri, bella e spigliata sorella di Aurora e Armando, lo spassoso e spumeggiante Fabio Avaro, fidato amico e socio d’affari di Filippo che non hanno nessuna intenzione di sottostare a qualunque limitazione! Vanessa Gasbarri con leggerezza e poesia porta in scena una favola moderna, comica e romantica che si interroga sul difficile mondo dei rapporti umani spesso aggredito da paure e incomunicabilità. Ma in questa girandola frizzante forse è ancora possibile l’alchimia dell’amore.
20.4.18
 

Bad Lambs

Teatro Angelo Mai 28 Marzo 2018
BAD LAMBS
ideazione, coreografia e regia
Michela Lucenti
drammaturgia
Carlo Galiero
assistenza alla creazione Maurizio Camilli
assistenza alla coreografia Giulia Spattini
cinematografia Giorgina Pi/Bluemotion
danzatori
Maurizio Camilli, Giacomo Curti, Ambra Chiarello, Giuseppe Comuniello, Michela Lucenti, Aristide Rontini, Emilio Vacca, Natalia Vallebona, Simone Zambelli disegno luci Stefano Mazzanti
costumi Chiara Defant
una coproduzione Festival Oriente Occidente, Balletto Civile, Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, FuoriLuogo/Centro Dialma Ruggiero
con il sostegno del MIBACT
La pietà uccide, indebolisce ulteriormente la nostra debolezza.
(Honoré de Balzac)
Torna, a distanza di tre edizioni a Oriente Occidente Balletto Civile, la compagnia guidata dalla coreografa e performer Michela Lucenti, con un nuovo lavoro, coprodotto dal festival, dal titolo curioso e ossimorico: Agnelli cattivi.
Una partitura fisica – secondo lo stile inconfondibile di Balletto Civile – per un nucleo allargato di interpreti: Badlambs unisce al nucleo stabile alcuni danzatori diversamente abili avviando nuovi processi e incontri. Da sempre la relazione è al centro della ricerca di Lucenti: “Sono convinta – spiega la coreografa – che il lavoro creativo attivato dalla relazione sia foriero di grandi sorprese. Ci permette di raggiungere obiettivi insperati nel superamento dei limiti di ciascun interprete. Un processo consapevole e cosciente da parte di tutti non per questo meno osato e forte per tendere a qualcosa di universale che il pubblico possa immediatamente comprendere. Essendo performers e artisti non creiamo alcun metodo terapeutico: per noi l’obiettivo è la scena, lo spettacolo. Questo ci spinge a dare molta importanza al processo. Ci piace raccontare delle storie con il corpo, tutto qui. Ma anche sapere che chi guarda possa sentirsi incluso in queste storie”.
Badlambs non esula da questa metodologia e l’immenso lavoro laboratoriale consiste proprio nel tentare di amalgamare corpi diversi per trovare un’armonia, un accordo che sia il comune denominatore di un viaggio nel presente. Ci inventiamo una storia. Cos’è un fantasma? E’ qualcosa che persiste nella misura in cui influenza le nostre azioni. I “bad lambs” hanno perso la parte migliore di loro in un incidente stradale. Non tutti se ne rendono conto, ma ognuno è incapace di dire addio al proprio fantasma. Eppure ci provano: sbattendo, perdendo l’equilibrio, tirandosi e spingendosi, spaccando porcellane, correndo, alla ricerca disperata di un posto da chiamare casa, che sia un armadio, una canzone neomelodica, una poesia, il passato.
Bad Lambs non è una bella favola che ammorbidisce una triste verità. Certo, indaga la grazia con cui un individuo accetta qualsiasi trasformazione o perdita. Si nutre di una dignità che non sta nella bella forma, ma negli sforzi che si fanno per inventarne una. Una volontà determina la differenza fra quello che è stato e quello che non è più, seleziona ciò che del passato può essere utile al presente, e se non trova nulla se lo inventa: autoconservazione. Non c’è provvidenza, le forme di umanità hanno tutte la stessa dignità ma nessuno si salva. Non c’è migliore o peggiore, paradiso e inferno sono due modi di chiamare l’eternità aventi la stessa struttura: come la storiografia e un racconto di finzione. Bad Lambs esplora ciò che possiamo fare quando abbiamo perso tutto: racconta la guerra che l’umanità affronta affinchè la morte diventi tragedia, il rumore musica, un movimento danza, una parola poesia, la vita una avventura.
Balletto Civile
20.4.18
 

AMLETO + DIE FORTINBRASMASCHINE

Teatro Vascello 15 Aprile 2018
AMLETO + DIE FORTINBRASMASCHINE
di e con Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci e tecnica Max Mugnai
drammaturgia Roberto Latini, Barbara Weigel
regia Roberto Latini
movimenti di scena Marco Mencacci, Federico Lepri, Lorenzo Martinelli
organizzazione Nicole Arbelli
foto Fabio Lovino
produzione Fortebraccio Teatro
in collaborazione con L'arboreto - Teatro Dimora di Mondaino,
ATER Circuito Regionale Multidisciplinare – Teatro Comunale Laura Betti,
Fondazione Orizzonti d’Arte
con il contributo di MiBACT e Regione Emilia-Romagna
Amleto + Die Fortinbrasmaschine è la riscrittura di una riscrittura.
Alla fine degli anni ‘70 Heiner Müller componeva un testo che era liberamente ispirato all’Amleto di Shakespeare.
Oggi, tentiamo una scrittura scenica liberamente ispirata a Die Hamletmaschine di Heiner Müller.
Lo facciamo tornando a Shakespeare, ad Amleto, con gli occhi di Fortebraccio, con l’architettura di Müller, su un palcoscenico sospeso tra l’essere e il sembrare.
Intitoliamo a Fortebraccio il nostro sguardo sul contemporaneo, la caccia all’inquietudine nel fondo profondo del nostro centro, per riscriverci, in un momento fondamentale del nostro percorso.
Ci siamo permessi il lusso del confine e abbiamo prodotto da quel centro una deriva.
Una derivazione, forse; alla quale riferirci nel tempo, o che probabilmente è il frutto maturo di un tempo che già da tempo è il nostro spazio. Di Heiner Müller conserviamo la struttura, la divisione per capitoli o ambienti e componiamo un meccanismo, un dispositivo scenico, una giostrina su cui far salire tragedia e commedia insieme.
Die Hamletmaschine è modello e ispirazione: Album di Famiglia; L’Europa delle donne; Scherzo; Pest a Buda Battaglia per la Groenlandia; Nell’attesa selvaggia, Dentro la orribile armatura, Millenni.
Ci accostiamo alla potenza della sua intenzione trattandolo come un classico del nostro tempo.
La riflessione metateatrale e quindi culturale e quindi politica che ci ha sempre interessato, la capacità del teatro di rivolgersi a se stesso, alla sua funzione, alla sua natura, per potersi proporre in forme mutabili, mobili, è la voce dalla quale vorremmo parlare i nostri suoni.
L’Amleto è una tragedia di orfani, protagonisti e antagonisti di un tempo in cui i padri vengono a mancare. Anche Die Hamletmaschine, ormai, da figlio è diventato padre.
Questo ha a che fare con la nostra generazione, da Pasolini in poi, con la distanza che misura condizione e divenire, con il vuoto e la sua stessa sensazione.
Siamo Fortebraccio, figlio, straniero, estraneo e sopravvissuto e arrivando in scena quando il resto è silenzio, domandiamo: “Where is this sight?”

AMLETO UND DIE FORTINBRASMASCHINE
Barbara Weigel
Frequentare i personaggi della tragedia di Amleto necessariamente significa rifrequentarli. Sono i nostri mitici antenati, una sorta di miti-genoma della nostra cultura. Come tali, ogni volta che li rincontriamo, ci danno una nuova misura della distanza che intercorre tra loro e noi.
Frequentarli significa anche dover rivalutare ogni volta di nuovo questa distanza, interrogarci ogni volta su dove stiamo e chi siamo diventati - come per capire l’evoluzione della nostra civiltà e, nello specifico, della nostra cultura teatrale.
Heiner Müller, che ha chiamato il teatro “un istituto per la riparazione di classici in cattivo stato di marcia”, ha visto Hamlet e Ophelia come delle macchine-mito.
Ri-frequentandoli prima di noi, tra l’Est e l’Ovest di una Germania fine anni ‘70, Müller ha nutrito la loro energia mitica con la storia della sua epoca: cortocircuitando storia e mito, ha rimesso in moto la macchina Amleto.
Ha liberato i personaggi in un movimento poeticamente autonomo, li ha collocati oltre il testo di Shakespeare, in uno spazio visionario nel quale la loro tragedia poteva diventare ancora concreta e tangibilmente parte della nostra storia recente. Secondo Müller, questo tipo di operazione diventa necessaria fino al superamento della condizione umana dalla quale sorgono le tragedie di Shakespeare.
Noi quindi ci inseriamo nella serie delle evocazioni, trovando un Hamlet oggi consapevole della sua vita di palcoscenico - vita intrisa delle nostre storie di teatro - e ci interroghiamo su chi è, se, con Müller, non è più Hamlet, e su chi poi sarà.
Immaginiamo un Amleto che ha smesso di stare in riva al mare a parlare alle onde, con alle spalle le rovine d’Europa già percepite da Heiner Müller, mentre uno dei figli di Ecuba, Polidoro, vittima innocente anche lui di vendette nefaste, viene dal mare per approdare a quelle stesse coste.
Ci poniamo le domande che si poneva già Heiner Müller:
Che cos’è che ritorna?
Quali sono i fantasmi che vengono dal futuro?
Ciò che è morto, non è morto nella storia. Una funzione del dramma è l’evocazione dei morti - il dialogo con i morti non deve interrompersi fino a che non ci consegnano la parte di futuro che è stata sepolta con loro.
Heiner Müller, 1986*
20.4.18
 
 
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