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AVALANCHE



Teatro India, 14 aprile 2019
AVALANCHE
di Marco D'Agostin
con Marco D’Agostin, Teresa Silva
suono Pablo Esbert Lilienfeld luci Abigail Fowler movement coach Marta Ciappina vocal coach Melanie Pappenheim direzione tecnica Paolo Tizianel cura e promozione Marco Villari
coprodotto da Rencontres Choréographiques Internationales de Seine-Saint-Denis, VAN Marche Teatro, CCN de Nantes con il supporto di O Espaco do Tempo, Centrale Fies, PACT Zollverein, CSC/OperaEstate FestivalTanzhaus Zurich, Sala Hiroshima, ResiDance XL Una creazione che, oltre ad essere la testimonianza di un giovane autore già alla ribalta della scena internazionale, offre la possibilità di riflettere sull’ossessione tutta contemporanea dell’accumulo, dell’archivio, dell’elenco di cose e fatti che amplifica a dismisura la percezione del corpo come custode della memoria.
In Avalanche i due esseri umani protagonisti vengono osservati da un occhio ciclopico come antiche polveri conservate in un blocco di ghiaccio. Sono Atlanti che camminano all’alba di un nuovo pianeta, dopo essersi caricati sulle spalle la loro millenaria tristezza. Tutto quello che non è sopravvissuto agisce, invisibile, su tutto ciò che invece è rimasto e che viene rievocato come regola, collezione, elenco di possibilità. La danza si pone in una costante tensione verso l’infinito dell’enumerazione, alla ricerca accanita di un esito, di una risoluzione, interrogando la questione del limite e dunque, in ultima istanza, della fine. Gli occhi socchiusi, come a proteggere lo sguardo dalla luce accecante di un colore mai visto, afferrano l’abbaglio di un’estrema possibilità: una terra di sabbia e semi sulla quale qualcuno imparerà nuovamente a muoversi, dopo che anche l’ultimo archivio sarà andato distrutto.
22.4.19
 

Alla ricerca del tempo perduto



Off/Off Theatre, 12 aprile 2019
Alla ricerca del tempo perduto
Di Marcel Proust, testo e interpretazione Duccio Camerini, regia Pino Di Buduo Spazio scenico, disegno luci e video Stefano Di Buduo. Teatro Potlach – La Casa dei Racconti
Duccio Camerini presenta per la prima volta l’adattamento teatrale dell’intera opera di Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto (À la recherche du temps perdu), vestendo gli abiti dell’autore e dei personaggi che gli ruotano intorno, immerso in scenografie digitali firmate dal video designer Stefano Di Buduo e diretto da Pino Di Buduo. Duccio Camerini e Pino di Buduo prendono il più lungo libro mai scritto (composto da 7 libri: La strada di Swann, All’ombra delle fanciulle in fiore, I Guermantes, Sodoma e Gomorra, La prigioniera, La fuggitiva, Il tempo ritrovato) e ne traggono un racconto fulminante, un viaggio dell’io, una storia che è anche un’enciclopedia di storie, un punto di vista su com’è fatto – e come dovrebbe essere fatto - il mondo. L’educazione esistenziale, sentimentale e sessuale di un ragazzo che si scoprirà scrittore, resa in un racconto sugli uomini e sul tempo, che poi è la malattia che li perseguita. Uno dei più grandi esperimenti letterari di sempre viene così messo in scena non come un bozzetto della “belle epoque”, lussi ed eccessi, bensì come il percorso di un’anima, la cui ironia, violenza, tenerezza, ci riguardano profondamente. Perché la “Recherche” è un grande romanzo-provocazione di fine millennio, che affonda in un’epoca di transizione, sfuggente e inafferrabile proprio come la nostra, adesso.
Nota di regia
La ricerca del Teatro Potlach sulla “memoria”, partito con "Le città invisibili" di Italo Calvino, va avanti da tanti anni. Quando Duccio Camerini mi ha chiesto di lavorare insieme su “Alla ricerca del tempo perduto”, ho detto subito istintivamente sì. Perché si? Con Proust si affronta un lavoro pieno di stimoli profondi, che spinge oltre i propri limiti e fa abbattere margini che il tempo aveva scrupolosamente edificati. A me interessa quando un autore, un'opera letteraria, un pensiero ci entra così dentro, ci trascina nella tempesta, distruggendo e costringendo a ricostruire, facendoci scoprire nuovi approdi. Di conseguenza ho scelto un setup digitale per creare un ambiente visivo con il quale Proust può dialogare, un partner virtuale che crea resistenze, associazioni, equivalenze, contrazioni e dilatazioni, spazi temporali, e che permetta allo spettatore di immergersi nella situazione dove ogni quadro è spazio e ricordo che riemerge. Marcel/Proust entra ed esce dalla sua stanza, non trova pace, vive in una specie di dormiveglia esistenziale, sente la fine avvicinarsi e vuole scrivere, scrivere, scrivere. Un viaggio nella memoria e nell’immaginazione, nel tempo e nello spazio e nel nostro futuro.
16.4.19
 

OPHELEIA

Teatro Palladium 6 Aprile 2019
OPHELEIA
Ofelia aiuta Ofelia danza e coreografia Alessandra Cristiani azione Sabrina Cristiani musica Iva Bittova, Claudio Moneta luci Gianni Staropoli produzione Lios Non c’è la pretesa di ricostruire il personaggio shakespeariano, di addentrarsi nella nota trama della tragedia. La figura di Ofelia è un ingresso al vertiginoso silenzio dell’umano. Non si tratta dell’ofelico, non si espone alla maniera di Ofelia. Non è una presa di posizione, quanto un cedere all’evidenza di una natura data universalmente, che si aggrappa alla percezione di sé come unica realtà con la quale dialogare. Ofelia è la creatura invisibile, circondata da occhi che non sono disposti a “vederla”. Lei stessa è “cieca” e impropria per un acuto dolore del mondo. È una debolezza. È una sospensione temporale, oppure un ingorgo emotivo. È un corpo rubato. Non sono attratta dal cliché che la celebra, ma forse la nasconde, quanto da quel deposito umano che dal fondo inesorabilmente la invoca. Opheleia è una visione, un’iniziazione al sacrificio. Quell’eco fa riemergere un accordo antico. Opheleia è uno specchio in cui riflettersi. È Ofelia che aiuta Ofelia; è un luogo carnale in cui abitarsi. Si insinua sotto pelle l’enormità di un destino o di un destinarsi a…
9.4.19
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WOP

Teatro Lo Spazio 31 MARZO 2019
WOP
Quando gli italiani erano WithOutPassport
Spettacolo scritto diretto e interpretato da: Oriana Fiumicino
Musiche di: Roberto Pentassuglia
Percussioni e Sand artist Donatello Pentassuglia
Genere: Teatro di narrazione

Sinossi: Il testo si ispira alla vera storia di Maria Petrucci, emigrata da un generico sud d’Italia in America, nei primi anni del ‘900. Lo spettacolo racconta del viaggio stremante che milioni di italiani hanno affrontato per raggiungere l'America. La voce narrante è quella di Maria, che guida lo spettatore prima su una nave carica di povera gente ricca solo di sogni e aspettative per un futuro migliore, poi a New York terra di transito per chi come lei ha già un biglietto e un posto di lavoro in Colorado. Maria infatti, insieme al marito Tommaso, si trasferiscono a Ludlow, dove l’uomo lavora come minatore per la Colorado Fuel and Iron di proprietà di Rockefeller Jr. La protagonista racconta la dura vita nelle miniere, le difficili condizioni economiche e lo sfruttamento degli emigranti. Gli italiani sono letteralmente taglieggiati dalla società mineraria che impone loro bassi salari, nessun risarcimento in caso di infortunio o di morte, nessuna assistenza sanitaria in caso di malattia provocata dallo stesso lavoro in miniera. In particolare la voce narrante racconta quello che viene comunemente definito “il massacro di Ludlow” e di cui Maria Petrucci è stata tragicamente protagonista. Nell’aprile del 1914, a seguito di un grande sciopero durato nove mesi e che aveva l’obiettivo di migliorare le precarie condizioni di oltre 11.000 lavoratori in tutto lo stato del Colorado, le guardie, assoldate dal magnate americano Rockfeller Jr., aprono il fuoco nella tendopoli di Ludlow dove vivevano centinaia di minatori con le loro famiglie. Nel massacro persero la vita 26 persone di cui 11 erano bambini, tra quest'ultimi anche i tre figli di Maria a e Tommaso Petrucci, rimasti soffocati in una buca in cui avevano trovato rifugio. Informazioni: La durata è di circa 50'. La narrazione si avvale delle musiche originali eseguite dal vivo dal chitarrista Roberto Pentassuglia.
7.4.19
 

Settimo cielo

Teatro India, 27 marzo 2019
SETTIMO CIELO
di Caryl Churchill
traduzione Riccardo Duranti
regia Giorgina Pi
con Michele Baronio, Marco Cavalcoli, Sylvia De Fanti, Tania Garribba
Aurora Peres, Xhulio Petushi, Marco Spiga
scene Giorgina Pi
costumi Gianluca Falaschi
musica, ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai
luci Andrea Gallo
un progetto di Bluemotion
produzione Teatro di Roma - Teatro Nazionale, 369gradi, in collaborazione con Angelo Mai

Un esempio di teatro felicemente “resistente”, con alle spalle un Premio Ubu, la realtà romana dell’Angelo Mai ritorna in scena, reduce dal grande successo di critica e pubblico della scorsa stagione, con Settimo cielo, capolavoro del 1979 della drammaturga inglese Caryl Churchill, per la regia di Giorgia Pi, Un viaggio tra le politiche del sesso vissuto da un gruppo familiare, prima catapultato nell’Africa coloniale di fine Ottocento, poi nella Londra swinging della rivoluzione sessuale in piena ribellione punk anni Settanta (una traversata temporale di solo 25 anni). Mai rappresentata prima in Italia, la commedia conserva il sapore di certe ambientazioni di Derek Jarman; l’impeto del movimento delle donne e degli omosessuali di quegli anni in Inghilterra, con Margaret Tatcher che proprio nel 1979 diventa Primo Ministro; il fervore della ricerca di nuove forme in sostituzione dell’immagine stereotipa della coppia e della famiglia, per rappresentarne le istanze più aggiornate. Infatti, i personaggi vivono un tentativo di ridefinizione delle proprie identità, provano a superare i ruoli che gli sono stati assegnati, in un continuo parallelo tra oppressione coloniale e sessuale. Immerso in una dimensione queer e punk, Settimo Cielo deborda tra continenti e secoli: «essere quello che si vuole essere, non quello che si può. È il divenire postumano che modifica luoghi e relazioni», riflette la regista Giorgina Pi.
7.4.19
 

Messico e nuvole

Teatro Lo Spazio 22 MARZO 2019
MESSICO E NUVOLE
Con Caterina Casini
Musiche a cura di Sonia Maurer
Questo è il racconto di un Messico passionale, generoso, sensuale e drammatico, surreale e inquieto, narrato dopo aver conosciuto i suoi artisti, pittrici e pittori, poeti, fotografe e cineasti, seguendo il filo costruito dai meravigliosi scatti fotografici realizzati negli anni ‘30 e ‘60 da Henri Cartier Bresson.
Diceva Cartier Bresson: “Non è la mera fotografia che mi interessa. Quel che voglio è catturare quel minuto, parte della realtà”. Seguendo questa metodologia , e attraversando gli autori messicani, il realismo magico sudamericano ma anche la crudezza de “Las Muertas”, racconto di Jorge Ibargüengoitia, da cui nasce la parte più dura dello spettacolo (il personaggio di una prostituta che vive tra Messico e Texas) si costruisce questo pazzle, che è immagine d’insieme e nel contempo attimo per attimo, particolare storia, particolare emozione, per dare al pubblico una sensazione profonda di una terra altra e così immaginifica.
La forza che il Messico esprime, la libertà dei suoi personaggi, e in primo piano delle donne tra cui Frida Khalo e Tina Modotti, di vivere in pieno la propria umanità nell’ironia nello splendore e nel dolore, la creatività che sa innalzarsi a grandissima arte senza perdere la sua radice fantastica e popolare, sono i segni fondamentali del dipinto che Caterina Casini realizza evocando per il pubblico memorie e fantasie.
Narrazione nata per la mostra su Cartier Bresson “Mexican notebooks” a Sansepolcro nel 2008, presso Palazzo Pichi Sforza, poi presentato per il ciclo “Letteratura del delirio” al Teatro Alla Misericordia di Sansepolcro (2014-2016), al Teatro Cometa Off di Roma, al Fringe Festival di Roma. A marzo 2019 a Teatri d’Imbarco di Firenze, e dal 20 al 23 marzo a Teatro Lo Spazio di Roma.
3.4.19
 

Truman Capote

Off/Off Theatre 17 marzo 2019
Florian Metateatro Centro di Produzione Teatrale
TRUMAN CAPOTE
di Massimo Sgorbani
con
Gianluca Ferrato
regia
Emanuele Gamba
Il lato oscuro di un’America che altri – prima, insieme e dopo di lui – hanno esplorato.
La paura dello sconosciuto che minaccia la tua famiglia e la tua proprietà. La paura (e insieme l’attrazione) che suscita il “diverso”, ma anche la paura che lo stesso diverso prova sentendosi tale e tentando di essere accettato, salvo scoprirsi in extremis “tollerato” (come diceva Pasolini) solo ipocritamente, e riappropriandosi dell’unica identità che, a ben vedere, gli è stata realmente concessa: quella di intruso, di presenza minacciosa.
3.4.19
 
 
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