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Come un bambino abbandonato nello specchio dell’armadio

Teatro Furio Camillo 31 Ottobre 2014
Come un bambino abbandonato nello specchio dell’armadio
Ideazione, coreografia e regia: Patrizia Cavola – Ivan Truol
Con: Valeria Baresi, Giorgio Iacono, Valeria Loprieno, Cristina Meloro, Sabrina Rigoni.
Musiche Originali: Epsilon Indi
Costumi: Medea Labate
Scene: Giulia Trefiletti
Luci: Danila Blasi
Promozione e Ufficio Stampa: Benedetta Boggio 369gradi
Produzione: Atacama
Con il contributo di MIBACT Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo -Dipartimento Dello Spettacolo _Residenze: La Scatola Dell’Arte
“L’ho fatto! Ho tolto il lenzuolo dall’armadio e mi sono guardato allo specchio. Ho stretto i pugni, ho preso un gran respiro, ho aperto gli occhi e MI SONO GUARDATO! Era come se mi vedessi per la prima volta. Non ero davvero io quello li dentro. Era il mio corpo, ma non ero io. Non era neppure un amico. Mi ripetevo: Sei me? Sei tu, me? Io sono te? Siamo noi?
E’ vero che la mia immagine riflessa mi è apparsa come un bambino abbandonato nello specchio dell’armadio. Questa sensazione è assolutamente vera. Facendo cadere il lenzuolo, sapevo benissimo chi avrei visto, ma è stata comunque una sorpresa, come se quel ragazzino fosse stato abbandonato lì ben prima della mia nascita. Sono rimasto a lungo a guardarlo.”
10.11.14
 

Quietly

Teatro Belli 29 ottobre 2014 Primo studio per
 QUIETLY
di Owen McCafferty
traduzione Natalia di Giammarco
adattamento, messa in scena e interpreti Marco Foschi e Paolo Mazzarelli
disegno luci Luigi Biondi
produzione EMMEA' TEATRO
QUIETLY si svolge tutto in un pub di Belfast, nell'Irlanda del nord, e racconta il primo incontro tra due uomini che, in un passato molto lontano che risale alla loro adolescenza, sono stati protagonisti di uno dei mille episodi di violenza legati alla questione irlandese. A fare da testimone a questo loro incontro, un barista polacco, impegnato a guardare una partita di calcio. Se è vero che la questione irlandese è non solo presente ma centrale in tutta la vicenda, è vero anche che in QUIETLY quelli che si incontrano in quel pub sono - in fondo - solo due uomini, due uomini che come tanti altri sono stati messi dalla storia e dal destino sulle opposte barricate di un conflitto, due uomini che si ritrovano le rispettive esistenze segnate indelebilmente da qualcosa che esisteva prima della loro nascita, prima della loro libertà di scelta, prima della loro storia. Due uomini che per poter continuare a vivere non più segnati dal passato, hanno bisogno di un confronto, e che questo sia testimoniato anche solo dalla presenza di un terzo, un testimone qualsiasi, il quale si auspica faccia tesoro dell'insegnamento e dell'esperienza altrui. Ma la storia, sia quella generale che quella privata, è irripetibile e allo stesso modo inevitabile: ogni generazione ricomincia da capo di nuovo l'esperienza del conflitto, del trauma, dell'elaborazione, come se ciò non fosse mai avvenuto prima. Condizione e destino dell'esistenza umana. Ecco perché, nelle semplici scelte di interpretazione e di messa in scena, abbiamo cercato di dare spazio al carattere “assoluto” dell'incontro fra i due, giocando a creare dei cortocircuiti che, pur parlando del conflitto irlandese e delle sue specifiche questioni, possano rimandare a ogni altro conflitto che affligge e divide gli uomini e le donne del nostro dannato presente.
Abbiamo ambientato la pièce, quindi, non esattamente in un pub irlandese, ma nel retro di un pub, in un luogo indefinito, abbandonato da anni - forse proprio da quando una bomba vi è esplosa - e quasi fuori dalla storia. La storia è lì a lato, presente e vicina, ma comunque altrove. E' nel pub, che intuiamo dietro una tenda e da cui tutto giunge, la voce del barista polacco e dei clienti, le urla dei ragazzini, e la telecronaca della partita di calcio, in arabo come molte delle telecronache del calcio contemporaneo pescate in streaming da chissà dove. Voci e suoni che rimandano pur senza volerlo ad altri mondi, ad altri conflitti, ad altri uomini che cercano un senso ad una storia che senza chiedere loro il permesso li ha messi l'uno contro l'altro per sempre.
10.11.14
 

L'importanza di non essere juventini

Teatro Kopò 23 Ottobre 2014
L'IMPORTANZA DI NON ESSERE JUVENTINI
Un viaggio all'insegna della sportiva e drammatica comicità.
Scritto diretto ed interpretato da Fulvio Maura ed Angelo Sateriale
Il calcio è passione. Il calcio è esaltazione collettiva. Il calcio è l'orgoglio di identificarsi in una maglia, in una città, in un popolo. Il calcio è l'isteria dell'esultanza, è l'urlo liberatorio dopo un gol. Ma Il calcio non è solo gioia, a volte è anche dolore, sofferenza, ingiustizia, sopruso, raggiro, malafede. Altre volte è rivincita, riscatto, raggiungere un traguardo insperato, è la magia di rinascere dalle proprie ceneri. In definitiva il calcio è lo sport più bello del mondo perché è lo specchio della vita e della società, perciò l'importanza di non essere Juventini.
10.11.14
 
 
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