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Guance rosse

Short Theatre 9 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | FOYER 2
mise en espace
nell’ambito di Fabulamundi. Playwriting Europe | PRIMA NAZIONALE
Guance rosse
testo Sandrine Roche
traduzione di Gioia Costa
mise en espace di BLUEMOTION
regia Giorgina Pi
con Sylvia De Fanti, Aglaia Mora, Laura Pizzirani
sounscape Valerio Vigliar
una coproduzione BLUEMOTION e AREA06
www.angelomai.org/bluemotion
Cappuccetto rosso senza il lupo. Cappuccetto rosso che si preoccupa della madre e non molto della nonna. C’è un cappuccio rosso, certo, lega queste tre donne uniche protagoniste della storia. Ma l’eredità fatale che le unisce tinge di rosso qualcos’altro: le loro guance. Rosso sul volto che sa di segreto, pudore, dubbio, di desiderio teso come un filo o sfumato. Una bambina, una madre, una nonna? Non lo sappiamo. A leggere bene tutto farebbe pensare che siano solo tre donne, tre visi che arrossiscono. Ognuna col suo rossore.
Sandrine Roche ci porge tre monologhi, tre vite che si raccontano parlando l’una con l’altra, pur senza rispondersi mai. Non c’è il lupo a creare spavento. Dilagano piuttosto sentimenti contrastanti e tensioni madide di paure e solitudine. Queste sono le coordinate che Roche dona per intraprendere il cammino nel bosco e raggiungere la casa della nonna.
Ma chi è il lupo? Possibile che non ci sia? A ciascuna il proprio lupo e il proprio viaggio per conoscerlo.
A ciascuna il suo rosso sulle guance.
5.10.15
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Peso Piuma

Short Theatre 9 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | FOYER 1
danza/performance
PESO PIUMA
irriverente azione invocazione anarchica
ideazione messa in scena e interpretazione Michela Lucenti
musiche eseguite dal vivo Luca Andriolo, Dead cat in a Bag
testi Silvia Corsi
luci Stefano Mazzanti
fonica Maurizio Camilli
produzione Balletto Civile
con il sostegno di Fondazione Teatro Due, Centro Dialma Ruggiero/La Spezia e MIBAC Ministero per i Beni e le Attività Culturali
www.ballettocivile.org
Quando il piccolo peso prepara il suo destro.
Padre e madre parti di noi del viaggio
poi si è soli
forse pronti
non si tratta di essere forti ma di mordere
l’ossessione la nostra battaglia
quello che ora stiamo capendo è quello che c’è da capire non si può aspettare
nessuna lezione da prendere ancora
solo libertà e convinzione
poi bisogna non aver paura e li si capisce se davvero abbiamo imparato l’azione
Immaginiamo che tutto sia una prova infinita
la mise en espace ci da soddisfazione negli ultimi giorni
poi c’è il giorno della prima e niente sarà come avevamo pensato e non sarà importante.
Ci proviamo. Ci proviamo a fare arte, a mettere l’accento sulle cose importanti della vita, radici, lotte, morti e rinascite interiori, palpiti adolescenziali, ribellioni adulte, atmosfere suoni colori… Tanti gesti e parole che si accumulano intorno a un fulcro che non vogliamo sappiamo possiamo più affrontare direttamente. E poi finalmente succede. Metto a fuoco il centro. Non mi spavento. Nasce un’invocazione, che sarà necessariamente puerile, anacronistica, ridicola, roboante, indicibile, inagibile. Interrotta, ripresa, di nuovo interrotta. Ma che per miracolo ce la fa, e si solleva al di sopra del nostro stesso sarcasmo, leggera e timida. Oso dirlo? Posso stupirmi? Ecco, lo dico: sono grata. Della mia storia di merda, sono grata. Della notte del disincanto sono grata. A chi mi ha creato illusioni su questo mondo sono grata, così come a chi me le ha distrutte. A chi mi ha cibato e dissetato e pettinato, a chi mi ha indicato il cammino sono grata. Posso provarci ancora? Posso provarmici ancora? Sono abbastanza in luce? Mi vedete?
5.10.15
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A House in Asia

Short Theatre 11 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | TEATRO 1
teatro
A House in Asia
spettacolo con sovratitoli in italiano
creazione Àlex Serrano, Pau Palacios e Ferran Dordal
interpreti Àlex Serrano, Pau Palacios e Alberto Barberá
voci James Phillips (Matt) and Joe Lewis ( il giovane marine)
direttrice di produzione Barbara Bloin
video Jordi Soler
sound design e colonna sonora Roger Costa Vendrell
light design Alberto Barberá
modellini in scala Nuria Manzano
costumi Alexandra Laudo
consulenza tecnologica Eloi Maduell e Martí Sánchez-Fibla
consulenza legale Cristina Soler
consulenza al progetto Víctor Molina
fotografo Nacho Gómez
management Iva Horvat / Agente129
consulente per l’Italia Ilaria Mancia
produzione Agrupación Señor Serrano, GREC Festival de Barcelona, Hexagone Scène Nationale Arts et Sciences – Meylan, Festival TNT – Terrassa Noves Tendències, Monty Kultuurfaktorij, La Fabrique du Théâtre – Province de Hainaut
col supporto di Festival Hybrides Montpellier, Festival Differenti Sensazioni, Departament de Cultura de la Generalitat, INAEM ringraziamenti speciali a Montserrat Bou, Emma Argilés, Olga Tormo, Carmen Zamora, Àngels Soria and Cristina Mora.
grazie a cube.bz, Max Glaenzel, Marta Baran, Berta Díaz Laudo, Ro Esguerra, Henar Rodríguez (Escola de maquillatge Montserrat Fajardo), Carine Perrin, Matis Guillem, Rosa Pozuelo, Àngela Ribera, Valérie Cordy, Denis Van Laeken and Iván Gómez García.
www.srserrano.com
La casa dove Geronimo si sta nascondendo in Pakistan. Una copia esatta della stessa casa in un campo militare in North Carolina. Una terza casa gemella in Giordania, dove viene girato un film. La più grande caccia all’uomo della storia. Cowboy e indiani. Aeroplani e birre. Pensieri intorno all’idea di copia e di imitazione, accompagnati da cheeseburger. I linguaggi della compagnia (modellini in scala, proiezioni video, riprese live) per comporre un ritratto popolare e spietato dei dieci anni post 11 settembre 2001, gli anni di nascita del 21esimo secolo. Non potete non esserci.
5.10.15
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Io se voglio fischiare, fischio

Short Theatre 10 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA. FOYER 1
mise en espace
nell’ambito di Fabulamundi. Playwriting Europe
Io se voglio fischiare, fischio
testo Andreea Valean
traduzione Roberto Merlo
mise en espace BluTeatro
regia Luca Bargagna
cast Viviana Altieri, Vincenzo D’Amato, Davide Gagliardini, Alessandro Meringolo, Massimo Odierna
elementi di scena Edoardo Aruta
progetto grafico e web Francesco Morgante
organizzazione Maria Piccolo
ufficio stampa Stefania D’Orazio
coproduzione Area 06 e BluTeatro
www.bluteatro.it
Un carcere minorile maschile da qualche parte in Romania. Entra una ragazza. Potremmo fermarci qui. Cosa succede se una ragazza, giovane, carina, si fa chiudere in una cella con tre ragazzi, giovani, carini, che non vedono una donna da mesi (anni forse)? Il fatto che sia lì per fare un test psicologico o per raccogliere materiale per la sua ricerca sulla delinquenza giovanile, il fatto che la situazione sfuggirà presto dal suo controllo, sono accidenti. Io se voglio fischiare, fischio è uno dei più popolari lavori di Andrea Valean, che ha ispirato l’omonimo film vincitore del premio Orso d’Argento al Berlin Film Festival 2010.
5.10.15
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Sorry, boys

Short Theatre 11 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | FOYER 1
teatro
Sorry, boys
Dialoghi sulla mascolinità per attrice e teste mozze (primo studio)
di e con Marta Cuscunà
progettazione e realizzazione teste mozze Paola Villani
assistenza alla regia Marco Rogante
disegno luci Claudio “Poldo” Parrino
disegno del suono Alessandro Sdrigotti
co-produzione Centrale Fies, Operaestate Festival
teste gentilmente concesse da Eva Fontana, Ornela Marcon, Anna Quinz, Monica Akihary, Giacomo Raffaelli, Jacopo Cont, Andrea Pizzalis, Christian Ferlaino, Pierpaolo Ferlaino
con il sostegno di Comune di San Vito al Tagliamento Assessorato ai beni e alle attività culturali, Ente Regionale Teatrale del Friuli Venezia Giulia un ringraziamento alle ragazze e ai ragazzi del Gender and Sexuality Group del Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico
www.martacuscuna.blogspot.it
I generi sessuali sono delle unità (maschi, femmine, gay, lesbiche, transgender, bisex, ecc) che non stanno isolate, ma sono in stretta interdipendenza reciproca.
Visto che i concetti di femminilità e mascolinità fanno sistema (insieme agli altri) e il cambiamento di uno incide su tutti gli altri, non ha senso parlare di donne senza prendere in considerazione come minimo anche gli uomini.
Sorry, boys cerca di mettere a fuoco domande che li riguardano:
Come stanno oggi i giovani maschi? Che uomini adulti si preparano a diventare? Qual’è il modello di mascolinità in cui si riconoscono e a cui aspirano? Perché, se è vero che una società sbilanciata al maschile inevitabilmente li favorisce, non è altrettanto scontato che quello stesso modello permetta loro di essere uomini felici.
Uomini felici. Forse è anche di questo che hanno bisogno le donne.
Una storia disturbante
Nel 2008 diciotto ragazze di una scuola superiore americana, tutte under 16, rimangono incinte contemporaneamente.
In quell’anno il numero delle ragazze madri della scuola risulta 4 volte superiore alla norma.
Ma la cosa veramente sconvolgente è che sembra che la vicenda non sia frutto di una strana coincidenza ma di un patto segreto. Le 18 ragazze avrebbero deciso di rimanere incinte nello stesso momento per aiutarsi una con l’altra e allevare i bambini tutte insieme, nella stessa casa, in una specie di comune femminile.
Nel giro di pochi mesi, si scatena un vero e proprio scandalo internazionale, l’attenzione viene puntata tutta su di loro: le 18 ragazze – ragazze madri – nel tentativo di vivisezionare, analizzare ed etichettare la loro maternità fuori dagli schemi. In Sorry, boys invece le ragazze non ci sono. Solo se loro mancano, infatti, lo sguardo può spostarsi sul sistema-ospite in cui questa storia è nata. Vera o no, mi sono chiesta: dove può mettere radici l’idea di un patto tra ragazze di 16 anni per creare una piccola comunità fatta solo di giovanissime mamme che scelgono di allevare da sole i propri bambini?
Qual’è il contesto sociale adulto, la cellula-ospite, in cui questo progetto virale di maternità ha potuto attecchire, prendere il potere e riprodursi? Chi sono i giovani padri e perché non vengono considerati adatti a prendere parte al patto? E mentre le ragazze si uniscono e progettano una comunità nuova, i ragazzi dove sono, cosa fanno, cosa pensano?
Teste mozze
Nel nero della scena, due schiere di teste mozze. Appese. Da una parte gli adulti. I genitori, il preside, l’infermiera della scuola. Dall’altra i giovani maschi, i padri adolescenti.
Sono tutti appesi come trofei di caccia, tutti inchiodati con le spalle al muro da una vicenda che li ha trovati impreparati. Potranno sforzarsi di capire le ragioni di un patto di maternità tra adolescenti, ma resteranno sempre con le spalle al muro.
Come le teste della serie fotografca We are beautiful, che il fotografo ventisettenne Antoine Barbot ha realizzato nel 2012 durante il suo internship presso lo studio di Erwin Olaf; e che saranno l’ispirazione da cui partire per progettare e costruire le macchine sceniche di Sorry, boys. Better man
L’idea di Sorry, boys mi è venuta dopo aver letto questa rifessione di Stefano Ciccone, presidente dell’Associazione Maschile Plurale, sull’origine della violenza maschile: “il tema del cambiamento maschile è controverso e contraddittorio ed è una delle strade che ci possono portare a ragionare sulla violenza, perché questo cambiamento viene socialmente rappresentato in termini tendenzialmente negativi. Da un lato viene visto come un cambiamento obbligato (la rinuncia da parte degli uomini del proprio ruolo e della propria identità a causa dell’indipendenza femminile) e messo sotto la categoria della crisi. Dall’altro il cambiamento maschile è schiacciato nella categoria della “femminilizzazione” (l’uomo che esprime apertamente la sua sensibilità viene spesso additato come effeminato). Non riusciamo a nominare questo cambiamento in senso positivo”.
Sorry, boys è il tentativo di ribaltare questo racconto e trovare nuove forme per comunicare il tema del cambiamento maschile, lasciando intravedere come esso potrebbe aprire per gli uomini nuovi spazi di libertà, una diversa qualità nelle loro relazioni, nella sessualità e nell’immaginario. Un cambiamento che non sia più difensivo e frustrante ma volto alla conquista di una nuova felicità.
5.10.15
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Mad in Europe

Short Theatre 4 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | TEATRO 2
teatro
SPETTACOLO VINCITORE PREMIO SCENARIO 2015
Mad in Europe
testo di Angela Dematté
collaborazione drammaturgica Rosanna Dematté scene e costumi Ilaria Ariemme
disegno luci e audio Marco Grisa
interprete Angela Dematté
regia del gruppo Mad in Europe
Il progetto parte da innumerevoli suggestioni degli atti comunicativi.
Vi è una riflessione sulla “parola” e sul “linguaggio” e cosa esso comporta nelle nostre vite.
Vi è una seconda riflessione, che parte da una serie di incontri indetti dalla Commissione europea a cui abbiamo partecipato e che sono nati nel tentativo di scrivere “The mind and body of Europe: a new narrative”.
Vi è una terza suggestione, che parte da una prozia rimasta in manicomio per 80 anni della sua vita. Vi è una quarta, inaspettata, suggestione, che è una gravidanza a sorpresa.
Ciò che scaturisce (ed è il nostro progetto) è una donna incinta impazzita. Al Parlamento europeo. Ella sapeva parlare molte lingue…ma ora riesce a formulare solo un “dialetto” internazionale, strano ed informe. Soprattutto non ricorda assolutamente più la sua lingua madre, la sua “Muttersprache”. L’ha rifiutata e ora non la ricorda più. Di chi è la colpa? Dovrà andare molto indietro per cercare di uscire dalla nevrosi in cui è caduta. Rientrare in un’eredità scomoda: materna, religiosa, demodé, di cui pensava di essersi liberata. Resta da capire se troverà ancora qualcosa (se lo vorrà) o se è tutto smarrito per sempre.
5.10.15
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Gianni

Short Theatre 8 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | FOYER 1
teatro
spettacolo vincitore del Premio Scenario per Ustica 2015
Gianni
ispirato alla voce di Gianni Pampanini
di Caroline Baglioni
con Caroline Baglioni
assistente alla regia-tecnico Nicol Martini
Avevo circa tredici anni. Mio padre tornò a casa e disse che era arrivato il momento di occuparci di Gianni.
Era un gigante Gianni. Alto quasi due metri, ma a me sembravano tre.
Gianni era proprio grosso e nella mia mente è un film in bianco e nero.
Gianni sembra oggi un ricordo lontano, ma era lontano anche quando c’era.
Era lo zio con problemi maniaco-depressivi che mi faceva paura. Aveva lo sguardo di chi conosce le cose, ma le ripeteva dentro di sé mica ce le diceva. Fumava e le ripeteva dentro di sé.
Gianni non stava mai bene. Se stavamo da me voleva tornare a casa sua. Se stava a casa sua voleva uscire. Se era fuori voleva tornare dentro. Dentro e fuori è stata tutta la sua vita. Dentro casa. Dentro il Cim. Dentro la malattia. Dentro al dolore. Dentro ai pensieri. Dentro al fumo. Dentro la sua macchina.
E fuori. Fuori da tutto quello che voleva.
Non aveva pace Gianni. Ogni centimetro della sua pelle trasudava speranza di stare bene. Stare bene è stata la sua grande ricerca. Ma chi di noi non vuole stare bene?
Cercava le “condizioni ideali” Gianni, e parlava, parlava di “quando prima”. “Prima” era una delle sue parole preferite. Prima Gianni stava bene, si era ammalato da giovane, ma non così giovane da non potersi ricordare del “prima”, del basket e delle donne che aveva avuto. Nel 2004, in una scatola di vecchi dischi, ho trovato tre cassette. Tre cassette dove Gianni ha inciso la sua voce, gridato i suoi desideri, cantato la sua gioia, espresso la sua tristezza.
Per dieci anni le ho ascoltate riflettendo su quale strano destino ci aveva uniti. Un anno prima della mia nascita Gianni incideva parole che io, e solo io, avrei ascoltato solo venti anni dopo. E improvvisamente, ogni volta mi torna vicino, grande e grosso, alto tre metri e in bianco e nero.
Motivazione della Giuria
Colpisce la trasformazione di un materiale biografico intimo e drammatico in un percorso personale di ricerca performativa: la traccia audio originale di un’esistenza spezzata, come il testamento beckettiano di Krapp, ispira una partitura fisica, gestuale, coreografica in un efficace gioco tra due ambiti scenici che si rivelano anche esistenziali. Un lavoro sulla memoria individuale capace di creare uno spazio di comprensione ed empatia che scuote lo spettatore.
5.10.15
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Tristezza&Malinconia o il più solo solissismo George di tutti tutti i tempi

Short Theatre 8 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | FOYER 2
mise en espace
nell’ambito di Fabulamundi. Playwriting Europe
Tristezza&Malinconia o il più solo solissismo George di tutti tutti i tempi
testo Bonn Park
traduzione Alessandra Griffoni
mise en espace di e con Lea Barletti e Werner Waas e con Simona Senzacqua
in coproduzione con AREA 06
C’era questa tartaruga alle Galapagos chiamato Lonesome George. Fu l’ultimo della sua specie. Non ha più nulla da fare. Non biologicamente perché non c’è nessuno con cui riprodursi né politicamente o né per qualsiasi altra cosa.
Questo racconto parla di tempo, di mondo, di temi caldi, di amore, di odio, di lacrime, di tutto. Solo due settimane dopo aver iniziato la scrittura del testo, nella vita reale Lonesome George è morto.
5.10.15
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Bolero effect


Recensione dello spettacolo su TeatroeCritica

Short Theatre 11 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | TEATRO 2
Bolero Effect sarà presentato in double bill con e-ink di mk
danza
Bolero effect
concept e coreografia Cristina Rizzo
performance Annamaria Ajmone, Cristina Rizzo, Simone Bertuzzi
elaborazione sonora e djing Simone Bertuzzi aka PALM WINE
disegno luci e direzione tecnica Giulia Pastore
cura e distribuzione Chiara Trezzani
produzione 2014 CAB008 con il sostegno di Regione Toscana e MiBACT
coproduzione La Biennale Danza, Venezia
www.cristinarizzo.it
“Quello che ho scritto è un pezzo che consiste interamente di ‘tessuti orchestrali senza musica’ con un lunghissimo e graduale crescendo. Non ci sono contrasti e praticamente non c’è invenzione a parte per il modo in cui può essere eseguito. I temi sono nel complesso impersonali…tonalità-folk nel tipico modo Ispanico-Arabo, e (malgrado si possa dire il contrario) la scrittura orchestrale è semplice e lineare per tutta la durata del pezzo, senza il ben che minimo tentativo di virtuosismo…ho fatto esattamente ciò che volevo, ed è solo all’ascoltatore la decisione di prendere o lasciare.” (M.Ravel)
Il Bolero di Ravel è la danza sul filo del rasoio, sul bordo estremo della radura illuminata dai fuochi dell’accampamento, cui i danzatori si avvicinano per rubare qualche centimetro al bosco e al mistero. (J. Ortega y Gasset)
BoleroEffect è un tracciato, un percorso che si sviluppa come un oggetto coreografico attorno all’assunto esplicito che il Bolero di Ravel è la partitura orchestrale più popolare esistente al mondo, una musica che tutti conoscono e riconoscono. Dato questo punto di partenza sarà possibile verificare una condizione del corpo in ‘apertura massima’, forzare la traiettoria sinuosamente accattivante di una massa eccitata. Ma che cosa è effettivamente un Bolero? È come un’isola deserta. Un luogo dove ri-cominciare, lontano dai continenti, un tracciato sonoro dentro cui trovare delle brecce, dove praticare delle turbolenze corporee e un’erotica del corpo tesa a rompere il quadro della compostezza spingendosi verso altre dimensioni, un luogo dalle molte risonanze esistenziali. Scritto nel 1928, quando Ravel aveva 53 anni e soffriva dei primi sintomi del FTD (frontotemporal dementia), in un certo qual modo, il Bolero è un ‘esercizio da comportamento compulsivo’. L’intero pezzo è costruito su una singola melodia, divisa in due frasi, che si ripete nove volte. Il Bolero raveliano ci trascina, senza particolari allusioni, senza nostalgia, in uno stato di esaltazione inibita, in un felice coinvolgimento collettivo. Sul piano musicale il progetto si articola intorno alla ricerca di sonorità border-crossing di ritmiche da ballo pensate come una corsa archeologica a partire dal Bolero di Ravel. L’ambiente sonoro, in cui si inscrive la partitura coreografica, è costruito su flussi decrescenti e dilatazioni come in una sorta di dance hall post- globale. Il tentativo è quello di attivare un luogo di co-abitazione, un luogo utopico della scena dove figura e sfondo perdono i propri limiti. Spostare il paradigma dal dominio alla disposizione. Un corpo che si prepara ad una trasformazione deve attivare un lume interno, qualcosa di simile ad un fuoco luminoso. Procedere per rapide dissolvenze, fosforescenze e pulviscoli. Ma è mai possibile la definitiva rinuncia a tutte le proprie abitudini mentali? NOTE MUSICALI di Simone Bertuzzi
5.10.15
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e-ink

Short Theatre 11 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | FOYER 1
danza
e-ink
con Biagio Caravano, Michele Di Stefano
coreografia Michele Di Stefano
musica Paolo Sinigaglia
disegno luci Vincenzo Dente
produzione mk 1999
in collaborazione con Festival Teatri 90/Ref
www.mkonline.it
E-ink nasce dalla curiosità per le pratiche antiche dei messaggi oracolari e divinatori che, pur essendo formalmente precisi, sono il prodotto di uno sconvolgimento psichico. Esatta ed ambigua ad un tempo, la loro scrittura é organizzata sull’addomesticamento ritmico di ciò che per sua natura desidera essere continuamente reinventato e frainteso.
Il duetto è il lavoro di esordio della compagnia ed ha avuto al suo apparire una grande fortuna di pubblico e critica. . La sua riproposizione è stata sollecitata dal recente riallestimento per Aterballetto nell’ambito del progetto RIC.CI – Reconstruction Italian Contemporary Choreography, ideato e diretto da Marinella Guatterini. Mk è una delle compagnie di punta della ricerca coreografica italiana. Nel 2014 Michele Di Stefano ha ricevuto il Leone d’argento per l’innovazione alla Biennale di Venezia.
5.10.15
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Cannibali

Short Theatre 6 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | TEATRO 1
teatro
CANNIBALI
di Fiammetta Carena
in scena Tommaso Bianco, Alex Nesti, Maurizio Sguotti
regia Maurizio Sguotti
elementi scenici e costumi Francesca Marsella
disegno luci Amerigo Anfossi
video animazione Fabio Ramiro Rossin
musiche MaNu!
si ringrazia Francesco Gigliotti per la concessione del video “La Sila”
www.kronoteatro.it
Moriamo ogni giorno, ogni giorno ci viene tolta una parte della vita e anche quando ancora cresciamo, la vita decresce. ( Lucius Annaeus Seneca) Lo spettacolo tratta l’esercizio del potere.
Come tutti gli accadimenti della vita, anche questo è illusorio, ci induce a crederci vivi, perché assorbe il nostro tempo, le nostre energie e i nostri pensieri.
Quello che in sintesi estrema chiameremmo vita.
L’uomo crede di essere vivo e si sente tale solo nel confronto con le cose di tutti i giorni e le convenzioni sociali nelle quali siamo immersi, ci mettono in costante relazione con l’altro in uno stato o di subalternità o di preminenza.
Tra le attività che maggiormente alimentano in noi un’illusione di esistenza c’è di certo l’esercizio del potere; questo è forse l’accadimento che più ci spinge nell’illusione, poiché prevede il dominio dell’uomo sull’uomo.
In scena vediamo due differenti abitudini di praticare il potere.
Per l’uomo adulto questo è tangibile perché politico, sociale ed economico.
Lo sforzo è quindi il tentativo di accrescere il proprio dominio o perlomeno mantenere uno status quo.
Il giovane possiede un potenziale: la sua giovinezza è il suo potere.
Per lui il futuro è tutto in divenire, tutte le possibilità gli sono concesse e la sua vita è nelle sue mani.
Ciascun individuo lotta per accrescere l’unico dato sensibile che gli conferma d’essere in vita: il potere sull’altro.
Ne nasce uno scontro volto all’accumulo di comando.
Ed è la vita a diventare terreno di conquista, far west dove espandere i confini del proprio dominio.
Le due forme differenti di potere si rispecchiano anche nei corpi.
L’anziano, carico di potere, porta appresso un corpo su cui chiari sono i segni del decorso degli anni e che egli tenta in tutti i modi di mantenere giovane, performante.
Il giovane, pieno di potenziale esprimibile, fa del corpo il tempio del proprio potere, rendendolo competitivo ed omologato agli ideali di forza, potenza e bellezza.
Sono proprio questi ideali che dall’esterno danno il modello ai due. Su entrambi, con risultati e modalità differenti, influiscono messaggi di potenza, bellezza, prestanza e longevità cui il nostro quotidiano ci ha abituati.
Il messaggio è semplice e percorre aspetti solo apparentemente distanti.
Non si deve morire.
Non morire è non mostrare i segni del tempo sul corpo.
Non morire è non accettare l’inevitabile decorso biologico.
Non morire ci è impossibile.
Soprattutto se si pensa che si inizia a farlo in giorno in cui si viene concepiti.
La resa è ancora una volta l’unica possibilità.
5.10.15
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~55

Short Theatre 8 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | TEATRO 2
danza
Nell’ambito del progetto IYMA – International Young Makers in Action | PRIMA NAZIONALE
~55
concept e performance Radouan Mriziga
assistente Alina Bilokon
produzione Moussem Nomadic Arts Centre
coproduzione C-mine cultuurcentrum (Genk), WP Zimmer (Anversa)
con il supporto di Cultuurcentrum Berchem, Pianofabriek Kunstenwerkplaats (Bruxelles), O Espaço do Tempo (Portogallo), STUK (Leuven)
www.iyma.eu/artists/radouan-mriziga-ma-be
Le informazioni che un esecutore può scambiare con uno spettatore sono tante e di varia natura, e tutte compongono un linguaggio, aiutando o confondendo la comprensione di una situazione. Nella prima creazione di Mriziga, ~ 55, la danza diventa un linguaggio ibrido e personale, fatto di sensualità e di sentimento. Sono 55 i minuti di questo spettacolo “architettonico”, durante i quali la narrazione può infiltrarsi tra le forme e i volumi che si aprono, nell’articolarsi dinamico del dialogo tra corpo e spazio. Affascinato dal gesto artigianale in cui il movimento serve per la produzione, Mriziga usa il suo corpo come uno strumento per produrre movimento.
5.10.15
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Pisci ’e paranza

Short Theatre 4 SETTEMBRE 2015 Roma LA PELANDA | TEATRO 2
teatro
SPETTACOLO SEGNALATO PREMIO SCENARIO 2015
Pisci ’e paranza
progetto e regia Mario De Masi
con Andrea Avagliano, Serena Lauro, Fiorenzo Madonna, Rossella Miscino, Luca Sangiovanni
organizzazione e tecnica Gaetano Battista
Una stazione. Luogo di interconnessione fra i luoghi, motore di un movimento incessante di persone e cose. Ciò che i più semplicemente attraversano, da alcuni è abitato. Quello che per molti è un corridoio, per altri è casa. Pochi metri quadrati compendiano l’intero universo delle relazioni umane che abitano fuori, allo stesso modo in cui un acquario, piccolo o grande che sia, riproduce esattamente le dinamiche animali del mare aperto. Come in un acquario, si muovono i pesci di paranza di questa stazione immaginaria. Piccole figure senza qualità se non quella di essere umane. Umanamente vivono l’emarginazione, umanamente ne generano altrettanta. Tanto essi subiscono lo sguardo schifato del mondo di fuori, tanto lo rigurgitano nel microcosmo che compongono. Rifiuti della società che rifiutano a loro volta, in un circolo vizioso di negazione dell’altro da sé. In questo mondo di ultimi trova spazio la bellezza, l’ancoraggio disperato alla vita, la struggente consapevolezza della sua caducità. Acquario dalle pareti a specchio, questa società ai minimi termini non ha né capo né coda. Si nutre delle briciole che il mondo esterno le offre. Vive nei limiti che questo le impone. Il marciapiede è dunque il meraviglioso, terribile limite che è insieme tensione al superamento e divieto di transito, horror vacui e curiosità adrenalinica, insofferenza al presente e paura del futuro. Al marciapiede, significante universale dei limiti soggettivi, si contrappone la platea, luogo del giudizio comune che pretende di farsi oggettività.
5.10.15
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Support : MarXoB
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