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Gobbo a mattoni

Teatro Studio Uno 10 Febbraio 2018
Progetto RitrovArci
Spazio Teatrale Allincontro // ZTT - Zone a Traffico Teatrale
presentano
GOBBO A MATTONI
Soliloquio a 2 voci per cinquant'anni di cultura popolare
Di Riccardo Goretti
Con Riccardo Goretti e Massimo Bonechi
Regia Massimo Bonechi

" […] Che poi comunque "aspettare" l'è un conto… "aspettare qui nei' mi' circolino" l'è un attro conto. Vi torna? Qui mi sento a casa. Meglio che a casa! Non per nulla la chiamano "La casa dei popolo" no? Oddio, la chiamavano… ora si chiama… boh, come si chiama ora? Circolo. Eh, infatti. Ma prima l'era la Casa dei Popolo…[…]"
Goretti, detto in paese "Sindachino", è fermo al suo tavolo da briscola, al circolino, ad aspettare i suoi compagni di sempre:
"Krusciovve", il suo compare storico, due volte sindaco del paese (e da questo, per la loro assidua
frequentazione, deve il suo soprannome Goretti), passato da PCI a PDS a DS a PD a NONVOTANTE.
"Dumenuti", che da ragazzo faceva l'attore nel teatro e da vecchio s'è rovinato col videopoker.
"La Madonnina", Marigia Martinelli, che pare una madonnina in effetti, ma bestemmia come un camionista.
Ma stasera nella sala delle carte non viene nessuno.
Perchè domani il circolino, dopo 50 anni esatti d'onorata carriera, chiuderà per sempre. Son tutti di là, a festeggiare, a dare l'addio a quelle sale ingiallite dal tempo e dalle sigarette.
Il Sindachino non s'arrende. E aspetta. Facendo un solitario.
Nel suo schema di carte c'è un buco: da quel mazzo, che i 4 non hanno mai cambiato negli ultimi 15 anni, manca il gobbo a mattoni. Poco importa, basta saperlo, e riadattare le regole del gioco è un attimo. Ma il mazzo perdio non si cambia.
Così, mentre aspetta e gioca con quel mazzo mancamentato, il Sindachino racconta.
Racconta di sé (poco) e degli altri (tanto) e di cosa è accaduto in 50 anni dentro al circolino.
Finché Massimo il barista va ad avvertirlo che di là la festa è finita. Sono andati tutti via, e lui sta iniziando a sbaraccare, che domani si chiude, ma per davvero… e allora, come spesso accade nella vita, e noi neanche ce ne accorgiamo, non rimane che una cosa da dire. E una cosa da fare.
19.2.18
 

Quasi Grazia

Teatro India, 2 febbraio 2018
Quasi Grazia
di Marcello Fois
regia Veronica Cruciani
con Michela Murgia nel ruolo di Grazia Deledda
e Lia Careddu, Valentino Mannias, Marco Brinzi
scene e costumi Barbara Bessi
costumi di Michela Murgia, Patrizia Camba
drammaturgia sonora Francesco Medda -Arrogalla
produzione Sardegna Teatro

La mia idea, direi la mia ossessione, era che di questa donna, tanto importante per la cultura letteraria del nostro Paese, bisognasse rappresentare la carne. Come se fosse assolutamente necessario non fermarsi a una rievocazione "semplicemente" letteraria, quanto di una rappresentazione vivente. (Marcello Fois)
Con queste parole lo scrittore nuorese Marcello Fois evoca Quasi Grazia, il suo "romanzo in forma di teatro", in cui viene immortalata la figura di Grazia Deledda in momenti cruciali della sua biografia: dalla ventinovenne indocile, alle prese con la sua Nuoro di inizio Novecento, passando per il distacco - tra correnti emotive alternate - dalla Sardegna, fino a quando, autrice controversa e di grande successo, ottiene il premio Nobel per la letteratura, il primo conferito a una donna italiana.
Come suggerito da Fois, Michela Murgia interpreta il personaggio di Grazia Deledda e nella rappresentazione vivente orchestrata dalla regista Veronica Cruciani, questa sovrapposizione viene radicalizzata e portata ai massimi termini. Così Cruciani scandisce le sue scelte: "La presenza di Michela Murgia, per la prima volta in scena, non è casuale; sarda, scrittrice e attivista per i diritti delle donne, era ideale per generare un effetto doppelganger, in cui la sua figura di donna contemporanea e quella della ragazza sarda del '900 si richiamassero continuamente come in un controcanto". La forza del testo viene inoltre espressa e vivificata sulla scena dalla presenza di: Lia Careddu - anima storica del Teatro di Sardegna - nel ruolo della madre di Grazia, nonché Super Io severo; Marco Brinzi nei panni del devoto marito Palmiro Madesani e Valentino Mannias - Premio Hystrio alla vocazione 2015 - che snoda la sua interpretazione sui ruoli del fratello Andrea, di Ragnar, giornalista svedese e Stanislao, tecnico di radiologia.
La regista opera una scrittura scenica che indaga i diversi piani di rapporto tra realtà e atto creativo, restituendo una drammaturgia per quadri a partire dalla traccia del testo di Fois, su cui opera delle sezioni visionarie e immaginifiche, scaturite dall'incrocio con le novelle di Deledda, "tirando in campo tutto il suo immaginario onirico e portando una ventata di magia e di letteratura viva sulla scena"
L'operazione raccoglie una pluralità di talenti e assolve al compito politico di conferire voce a una scrittrice libera, controversa, emancipata - come rileva Michela Murgia: "È infatti evidente che Deledda per realizzare sé stessa abbia pagato, oltre ai sacrifici personali, anche un altissimo prezzo sociale: enorme su di lei la diffidenza radicale del mondo letterario italiano[…]La sua storia di determinazione personale è un paradigma non solo per le donne di tutti i tempi, ma per chiunque voglia realizzare un sogno partendo da una condizione di minorizzazione".
Constatata la necessità politica di fornire una genealogia femminile, composta dalle vite delle donne che hanno deviato dai percorsi imposti dall'egemonia maschile, Quasi Grazia raccoglie l'eredità della scrittrice sarda in una rappresentazione densa e originale, impreziosita inoltre dalle scene e dai costumi di Barbara Bessi, che riproducono e stilizzano uno spazio mentale, dalle sintesi sonore di Francesco Medda, in arte Arrogalla - che ha montato in chiave elettronica i suoni campionati dagli ambienti della Sardegna - e dal disegno luci composito di Loic François Hamelin e Gianni Staropoli.

Note di regia - Veronica Cruciani
Nessuno dei traguardi di parità di cui oggi godiamo sarebbe pensabile senza il coraggio di donne che, pur non facendo esplicitamente attività politica, con le proprie scelte di vita hanno saputo aprire strade di indipendenza per se stesse e per quelle che sarebbero venute.
Quando Grazia Deledda, nemmeno trentenne, nel 1900 lascia la Sardegna per inseguire il desiderio di diventare una scrittrice, forse non immagina di essere una di quelle donne, eppure il suo sogno d'arte e autonomia le chiederà un sacrificio che a nessun uomo sarebbe stato chiesto: lo strappo dalla propria terra e dalla propria famiglia.
Come regista mi interessava il valore politico della sua vicenda privata e per questo le scelte di regia in questo spettacolo, pur partendo dai tre momenti intimi della vita di Deledda raccontati da Marcello Fois, arrivano poi a indagare sia il rapporto tra donne e letteratura che la questione femminile contemporanea. Anche la presenza di Michela Murgia, per la prima volta in scena, è una scelta non casuale in questa direzione; sarda, scrittrice e attivista per i diritti delle donne, era ideale per generare un effetto doppelganger, in cui la sua figura di donna contemporanea e quella della ragazza sarda del '900 si richiamassero continuamente come in un controcanto. Insieme a lei e agli altri attori abbiamo affiancato alla drammaturgia di Marcello Fois una scrittura scenica parallela che ci permettesse di indagare i diversi piani del rapporto tra realtà e atto creativo, tra biografia e arte. Per questo in più momenti dello spettacolo vengono evocati in modo visionario anche i personaggi di alcuni racconti di Deledda, tirando in campo tutto il suo immaginario onirico e portando una ventata di magia e di letteratura viva sulla scena
19.2.18
 
 
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