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La fabbrica dei preti


Teatro Biblioteca Quarticciolo 7 aprile 2017
La fabbrica dei preti
di e con Giuliana Musso
Giuliana Musso, una delle più amate esponenti del teatro italiano di narrazione e d’indagine, presenta per la prima volta a Roma, sul palcoscenico del Teatro Biblioteca Quarticciolo, i suoi ultimi successi: La Fabbrica dei Preti – in scena dal 6 al 7 aprile – che arriva nella capitale dopo anni di repliche sold out, e Mio Eroe – in scena dall’8 al 9 aprile – il nuovo spettacolo attualmente in tournée nazionale. Due produzioni ancora una volta firmate da La Corte Ospitale che vanno a comporre, in questa speciale occasione, un dittico dedicato agli uomini sacrificabili. Ispirazione di entrambi i lavori, la poetica del Teatro del Vivente.
La Fabbrica dei Preti è un tributo alla dimensione umana ed affettiva dei preti. E con la loro, anche alla nostra. Ragazzini cresciuti all’interno delle alte mura di un seminario preconciliare, la “grande fabbrica silenziosa”, che hanno poi lottato tutta la vita per liberare ciò che del proprio spirito era stato represso e condizionato. Tre uomini anziani, combattenti di razza, innamorati della vita, fanno il bilancio di un esistenza che ha attraversato la nostra storia contemporanea e oggi assiste al crollo dello stesso mondo che li ha generati. Un racconto personale ed autentico di bisogni umani insopprimibili letteralmente sacrificati sull’altare.
12.2.21
 

Noosfera Lucignolo


Noosfera Lucignolo
di e con Roberto Latini
musiche originali Gianluca Misiti
luci Max Mugnai
aiuto tecnico Nino Del Principe
organizzazione e cura Federica Furlanis
promozione Nicole Arbelli
Produzione Fortebraccio Teatro
Seduto, i piedi a mollo in qualche centimetro d’acqua, sta Lucignolo di zazzera bionda e occhi di latte, mentre un cappio pende sopra la sua testa. Strappato alle pagine del romanzo di Collodi, il più famoso monello d’Italia si dimena disarticolato al centro della scena, ritagliato e ricucito dalla mano e dalla voce di Roberto Latini. Abbandonata la vertigine dello scandaglio vocale nei microfoni di Iago, altro esemplare di cattivo ragazzo che molto aveva da dire, la nuova produzione di Libero Fortebraccio si chiude dentro la noosfera, tondeggiante contenitore del pensiero, una sorta di mente collettiva che in questo caso rimanda al ribelle e asinino compagno di giochi di Pinocchio. Se è nella testa ciondolante di Lucignolo che siamo finiti, sembra di galleggiare in una bassa palude e, immobili, di essere attraversati da violenti flussi di coscienza. Roberto Latini opera una sistematica decostruzione del testo, ingurgitato e riscodellato in scena a brandelli, sfilacci e grumi: una partitura ritmica e profondamente poetica - capace di farsi suono, passare attraverso l’evidenza del corpo d’attore e di creare nuovi mondi, altri dall’originale; scrittura scenica che ha il grande merito di non dire, eppure dare, molto, a colpi diretti nel buio, nello spazio tra le parole, tra una scena e l’altra, tra una battuta e l’altra. Le musiche di Gianluca Misiti e la luce di Max Mugnai lo accompagnano dall’inizio alla fine, forti presenze di un lavoro che sembra più che mai corale. Questo Lucignolo, marionetta in carne e ossa, s’accende e smuore continuamente, è involucro floscio, inchiodato a una sedia, attraversato a intermittenza dalla vita elettrica dei personaggi: ha la parrucca gialla di Geppetto, gli occhi ciechi (per finta) del Gatto e la voce di tutti quelli che si appropriano ogni volta del suo corpo, dando origine a un’inquietante giostra di spiriti senza volto, personaggi ridotti a fantasmini che sussurrano, gridano di defunte coscienze parlanti e mamme salvifiche e turchine. Lucignolo è al centro del loro turbinare, alla guida del carro che porta tutti «in quel paese benedetto», terra promessa di balocchi infiniti, miraggio di un altrove che ci riguarda da molto vicino. Figura della fuga e della metamorfosi, Lucignolo è il portavoce dell’utopia, del fare artistico che non si arrende e non si adatta, ma si spinge «lontano, lontano, lontano», senza timore di perdere tutto. Asino, asino chi si mette in gioco e rischia. Asino chi rifiuta i compromessi, asino chi agisce sfidando l’evidenza. Difficile non trovare in Noosfera Lucignolo riferimenti all’attuale deprimente situazione in cui affonda l’arte di questo nostro Paese. Difficile dimenticare che Libero Fortebraccio esce abbattuto - per una mancanza di fondi non più colmabile dalle forze della compagnia - dalla coraggiosa esperienza del Teatro San Martino di Bologna: prezioso spazio di cui è riuscito ad aprire le porte a una programmazione che per tre anni di seguito ha regalato alla città piccole perle della ricerca contemporanea, conclusa quest’anno con la presentazione di un’amara “non stagione”. Buio. Quando torna la luce la sedia è rovesciata in terra, il cappio dondola e poi cade, memore di un avventato burattino appeso da Collodi a un ramo di quercia. L’estrema trasfigurazione avviene nell’inattesa e isolata scena finale, dove l’attore diventa goffo quadrupede a mollo, si spoglia e si riveste scomposto, scalcia e scivola nell’acqua che forse è l’ultimo fango, forse una sorgente.
12.2.21
 
 
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