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Conversazione sul luogo dell'incidente - Trasfigurazione cruenta di Jackson Pollock

Teatro dell'Angelo 2 febbraio 2015
"Conversazione sul luogo dell'incidente - Trasfigurazione cruenta di Jackson Pollock"
di Giuseppe Manfridi.
Vivo… della mia morte, e se ben guardo / felice vivo… d’infelice sorte; / e chi viver non sa d’angoscia… e morte / nel foco venga, ov’io… mi struggo e ardo. Sulla soglia «nel foco venga, ov’io… mi struggo e ardo». Come pochi Giuseppe Manfridi (anche nelle sue incursioni nella prosa) sa raccontare gli istanti prima del momento supremo. Spingendosi, in questo testo dedicato a Pollock, nella direzione che tutti i narratori ambiscono di raccontare: gli istanti subito successivi alla morte. L’ineffabile, di sgomento o di meraviglia. Per il celebre pittore, i momenti seguenti al tragico incidente che lo sottrae al mondo (ma è poi proprio così, una sottrazione? Non è, al contrario, una moltiplicazione sembra interrogarci il testo?). Mi vengono in mente, per letture coeve al testo di Manfridi, tra i moltissimi esempi contemporanei, Aldilà di Stanislao Nievo: duecento pagine per raccontare i secondi trascorsi dopo la morte del protagonista o lo stupendo ultimo “canto” narrativo di un autore quasi completamente postumo Dissipatio H.G. di Guido Morselli, che qualcuno ha voluto interpretare proprio come una lunga meditazione sulla soglia, nel limbo tra la vita e la morte. E di dissipatio certo si può parlare per questo testo, già dalla scelta del protagonista maschile, non solo un pittore, ma il mito annientante e fecondo di una generazione. Un incontro fatale con Manfridi, necessario, in quel suo filone drammaturgico adamantino e originale: la sublimità dell’arte, forza dirompente, destabilizzante nelle mani di una materialità transeunte, malata, fisicamente o psichicamente, posta davanti ai soffocamenti e alla cattività della condizione umana, in un luogo imprecisato, scalino del tempio dedicato alla signora nostra morte corporale. Negli ultimi momento, appunto, della vita. In limine alla morte. Leopardi, Puccini, Dostoevskij, Campana, Marlene per citare testi di grande successo, ma anche personaggi del mito, da Enea negli inferi, in Canto di mezzo, ad Andromaca e agli altri schiavi in attesa della distruzione della città in Ultimi passi per la salvezza dell’Epiro, testo recentemente pubblicato da Lepisma. Alla sorprendente Didone, testo della fine degli anni Ottanta, ripreso più volte, ora pubblicato in questa splendida e meritevole collana di La Mongolfiera, ma a cui mi è capitate di assistere, insieme all’autore, alcuni giorni prima di scrivere questa introduzione, nella suggestiva messa in scena di Fabrizio Pucci (anche interprete di Ovidio), con Marina Guadagno, alla Stanze Segrete di Roma Bruciarsi (si veda anche l’altro splendido testo davanti alla morte, non a caso pubblicato da La Mongolfiera con Didone, Arsa) l’intera vita con le schegge della divinità raggiunta nel gesto dell’arte, nella sfida continua alla morte e poi, come accade a Pollock, trovarsela davanti inaspettatamente, sbalzati chissà da dove, feriti, nudi, equivocati e inequivocabili. Con un cadavere accanto.
17.2.15
 

Divini Veleni

Teatro Tordinona 1 Febbraio 2015
 “Divini Veleni”
una commedia musicale, diretta da Beatrice Gregorini, portata in scena da Arianna Adriani, Giuseppe Arnone, Alessandra Chiappa, Eugenia Cortese, Alessandro Gerard, Luciano Pastori, Francesca Petretto, Giuseppe Santilli.
Costumi e Parrucco: Giuseppe Santilli
Scenografie: Roberto Cordova
Make Up: Valentina Sarti Magi
Direzione Tecnica: Angelo Ugazzi
Coreografie: Marica Galli
“Divini Veleni” è una rivisitazione della commedia “Arsenico e vecchi merletti” di J. Keesselring. La vicenda ha come protagonista Mortimer Brewster, severo critico teatrale, che deve vedersela con la sua famiglia di pazzi assassini e con la polizia di Brooklyn. Effettivamente ci sono dei sospetti. Le sue due vecchie zie zitelle, uccidono i loro coinquilini con vino di sambuco corretto con arsenico e, come se non bastasse, suo fratello Teddy, è convinto di essere Theodore Roosevelt e cerca di scavare il Canale di Panama in cantina, luogo dove sono sepolte le vittime delle ziette. L’altra nipote Johanna, con l’aiuto del complice Dr. Einstein, falso medico alcolizzato, cerca di sottoporsi ad un intervento di chirurgia plastica per cambiare i connotati con cui è ricercata, ha la faccia della moglie di Frankestein. Una commedia rock, con canzoni originali di Domenico Marchetti, ambientata in un cimitero e nella casa adiacente ad esso, con due anziane e simpatiche zie, due nipoti, la figlia del parroco e, inoltre, vino, veleno, amore e morte per dare vita ad una commedia grottesca, surreale, a tratti irriverente.
17.2.15
 

Fragile show

Teatro dell’Orologio 30 Gennaio 2015
Fragile show
con debiti e gratitudine a Il soccombente di T. Bernhard
con Andrea Trapani
drammatrurgia e regia Francesca Macrì e Andrea Trapani
costumi Isabella Faggiano
disegno luci Mirco Maria Coletti
“GLENN E LA SPIETATEZZA, GLENN E LA SOLITUDINE, GLENN E BACH, GLENN E LE VARIAZIONI GOLDBERG, GLENN NEL SUO STUDIO IN MEZZO AL BOSCO, IL SUO ODIO PER LA GENTE, IL SUO ODIO PER LA MUSICA, IL SUO ODIO PER LA GENTE CHE AMA LA MUSICA, GLENN E LA SEMPLICITÀ, PENSAI”
Con FRAGILE SHOW si conclude la nostra personale ricerca drammaturgica e scenica sul tema dell’inettitudine.
Una trilogia che si è delineata sempre più non come un percorso alla ricerca di domande e di conclusioni, ma come il tentativo di scovare, imparare e sostenere il ritmo di un respiro, il respiro di chi si sente sempre al di qua, di chi non riesce a trovare la propria strada eppure la desidera disperatamente.
FRAGILE SHOW nasce da quest’esigenza e dalla lettura appassionata, costante e carnivora di Thomas Bernhard. Un’operazione che per noi ha significato la rielaborazione di una commozione e la creazione di un percorso, drammaturgico e scenico, che se da un lato sente, intimamente, il debito e la gratitudine a Bernhard, dall’altro ha avvertito, sin da subito, l’urgenza di allontanarsene e di camminare con le proprie gambe. Non più Austria, non più Vienna, dunque. L’aria gelida, quasi congelata, delle pagine di Bernhard ci ha ricondotto ancora una volta a Firenze. Firenze bella di una bellezza rara, ma refrattaria al gioco e schiava della competizione per natura. Firenze che ama farsi guardare, ma mai che ri-guardi, se potesse colpirebbe alle spalle tutti quelli che vorrebbero possederla. Firenze che troppe volte ha lasciato a bocca aperta, con una bestemmia in gola, ad annusare eleganza e poesia. A Firenze, non esiste una sola parola che sia detta a caso: tutto ha un significato. Là dove gli sguardi sono schiaffi, le parole non sono da meno. Ci si fa a botte.
Nell’oro glaciale di questa città d’altri tempi è cresciuto il nostro Mastino, nuovo Werthaimer, suonatore di pianoforte. FRAGILE SHOW inizia proprio dove le pagine di Thomas Bernhard terminano. In preda ad una febbrile eccitazione, Mastino-Werthaimer decide di organizzare una festa con i suoi vecchi compagni di conservatorio, quella che più banalmente e più comunemente si definirebbe: una festa d’artisti. Seduto su una panchina, ai bordi della festa come ai bordi della vita, Mastino osserva, ragiona, si dilania. Sente gli odori di tutto quello che lo circonda. I rumori, le voci amplificate si mescolano, forse mostruosamente, alle risate, alle grida eccitate, al chiacchiericcio inutile. I volti dei suoi ex-compagni, nel corso di una lunga, lunghissima notte, assumono forme curiosamente grottesche, straniati e stranianti guardano di tanto in tanto ‘l’uomo della panchina’ come una singolarità, un’anomalia.
Due atmosfere, quasi due tempi s’incrociano in questa notte: d’un lato il tempo rapido, eccitante e frivolo della festa, dall’altro quello lento, quasi immobile, e straziante della panchina da cui Mastino guarda lo spettacolo. Se fosse per lui, questi due tempi non s’incontrerebbero mai…
17.2.15
 

Nel nome di Salomè

Teatro Tordinona 31 Gennaio 2015
 Nel nome di Salomè
atto unico scritto e diretto da Lucio Castagneri
con: Marica Malgarini, Lucio Castagneri, Simonetta Lauto, Stefano Santini, Federico Mastroianni, Rossella Rhao, Andrea Ranieri
La Compagnia dei Bugiardi
“La mia Salomè è vittima di un’educazione materna sbagliata e porta nel suo nome una sorta di maledizione che si tramanda nel tempo. La mia Salomè ruota intorno due uomini: Giovanni, amante alcolista della madre e della figlia, ed Erode, un capitano in fuga che Salomè tenta di sedurre e a cui chiede di portarla via da quello stato di soggezione e dalla prigionia in un mito che si porta dietro nel suo stesso nome.
Alla fine c’è sempre la speranza di trovare un rapporto equilibrato tra uomini e donne”.
17.2.15
 

Cartoline e transizioni

Teatro Studio Uno 31 gennaio 2015
 “Cartoline e transizioni”
un monologo per voce sola tratto dal racconto omonimo di Emanuele M. Cerone, riadattato e rivisto insieme all’attrice e performer Francesca Romana Nascè. La pièce si avvale della collaborazione artistica di Alessandra Caputo e di Daniele Casolino, anche musicista in scena.
Una cartolina, gli scatoloni del trasloco della casa dell’infanzia. Una finestra. E una donna alle prese con gli spettri della sua vita, con le vecchie ferite mai del tutto rimarginate, gli amori perduti e mai ritrovati. Sullo sfondo la luce bianca e spietata di un pomeriggio estivo del sud che indaga senza indulgenze una personalità complessa per cui è difficile provare simpatia. Il lavoro di indagine psicologica del personaggio, nasce quasi come una “ricerca sul campo”, considerando il percorso artistico e professionale dell’autore – psicologo – e dell’attrice che per anni ha lavorato come pedagoga nelle comunità psichiatriche.
In scena un personaggio che non è “bello” ma pericoloso, torbido e algido e nello stesso tempo tenero, ammiccante che devasta e si fa devastare. Le sue intime e disperate confessioni, senza rimorsi e senza pensieri lasciano trasparire la sua profonda e divorante difficoltà ad amare. L’amore si trasforma tristemente in distruzione, umiliazione di sé o dell’altro, carnefice e vittima senza sensi di colpa.
In un susseguirsi di flash back e rimandi, “Cartoline e Transizioni” senza sentimentalismi e senza alcun tipo di pietismo o ricerca di giustificazioni, racconta una storia di solitudine, triste demone dei nostri tempi dove basterebbero “piccoli gesti” veri e concreti per salvare e salvarci dall’infelicità.
17.2.15
 
 
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