Trovata una sega! - (18/05/15)


CANALE:
Teatro Tordinona 10 Maggio 2015
TROVATA UNA SEGA!
Racconto su Livorno, Modigliani e “lo scherzo del Secolo” dell’estate 1984
di e con ANTONELLO TAURINO
Protagonista assoluto dello spettacolo è il Caso, che mise insieme in quell’estate una successione di eventi fortuiti talmente meravigliosa da rendere questa storia un “regalo del cielo”. La drammaturgia è perfetta, c’è solo da raccontare, e alcune coincidenze sono così incredibili che si stenta a crederci: può capitare, assistendo a questo spettacolo, di ascoltare qualche spettatore sussurrare al suo vicino frasi come “No.. non ci credo!” “Incredibile!”.. “No dai, questa se l’è inventata..”. L’intenzione era quella di fare uno spettacolo mettendo al centro proprio questa storia, quasi a voler far dimenticare al pubblico i consueti aspetti collaterali dell’evento teatrale: che è uno spettacolo, che c’è un attore di fronte, che si è in un teatro, e via discorrendo. La forma è quella della narrazione per “monologo e proiettore”, perché se la narrazione consiste nell’ evocare con la voce ciò che lo spettatore poi visualizzerà nella sua immaginazione, beh, la straordinaria bruttezza delle teste prese per autenticamente modiglianesche.. no, quella no, non c’è attore in grado di evocarla: bisognava farle vedere, il pubblico doveva goderne lo spettacolo. Da qui l’idea di proiettare, oltre alle foto dei “capolavori”, alcune immagini d’epoca, perché fungessero anche da testimonianza di ciò che lo spettatore altrimenti avrebbe difficoltà a credere. Dal punto di vista attorale il lavoro si è indirizzato verso un divertito mimetismo della galleria dei personaggi che popolano la storia, a partire innanzitutto dalla riproposta della parlata livornese. E in quella Livorno abbiamo veramente una gamma completa di tipi umani, dal comico al drammatico, dalla farsa alla tragedia: quasi come in Romeo e Giulietta, questa storia è anche una specie di guerra tra vecchi e giovani: Jeanne Modigliani (figlia del pittore, un’arcana sacerdotessa della verità la cui misteriosa morte apporta note thriller da “Ustica del mondo dell’Arte”) opposta alla vitale disperazione di Angelo Froglia (autore di due delle tre teste ritrovate, che col suo estremismo artistico pare uscito diretto da un romanzo di Dostoevskij); sapientissimi “dottori” sbertucciati (Vera Durbé e i critici d’arte) contro allegre brigate d’arlecchini burloni (i tre ragazzi che realizzarono per scherzo una delle tre teste). E troppi assessori “Brighella” e politici “Pantaloni” a completare il canovaccio da Commedia dell’Arte. Ha una presa straordinariamente accattivante questa ridicola sconfitta senza appelli dei grandi critici, perché ha significato una batosta clamorosa per un certo tipo di cultura altezzosa, occhialuta, accademica. I cattedratici tirati giù dal loro sacro scranno non solo ci ha fatto sbellicare, ma hanno fornito davvero spunti di riflessioni sul senso dell’arte e della cultura nella società mediatica. Questa vicenda, per tutta la critica d’arte mondiale, è davvero un punto di non ritorno. Da autore del testo, ho ovviamente dovuto consultare molti libri e documenti vari che trattavano la questione, tra cui citerei “La beffa di Modigliani” di Giovanni Morandi, una puntata di “Mixer” di Giovanni Minoli e il documentario “Le vere false teste di Modigliani”, di Giovanni Donfrancesco; il tutto corredato da interviste ai “tre ragazzi” e a Massimo Froglia, fratello dello scomparso Angelo. Infine, questa storia è anche una sintesi meravigliosa dell’italianità con tutti i suoi “tipi”, nonché uno spaccato quasi sociologicamente completo di quegli anni. Erano i goderecci e rampanti anni ’80, ma in quel decisionismo cialtrone ci sono i segni dell’attuale deriva. Sono passati trent’anni, ma sembra ieri, e il mix di superficialità ed urgenza di questi anni arruffoni, renderebbe possibile che ciò possa risuccedere anche oggi.
Teatro Tordinona 10 Maggio 2015
TROVATA UNA SEGA!
Racconto su Livorno, Modigliani e “lo scherzo del Secolo” dell’estate 1984
di e con ANTONELLO TAURINO
Protagonista assoluto dello spettacolo è il Caso, che mise insieme in quell’estate una successione di eventi fortuiti talmente meravigliosa da rendere questa storia un “regalo del cielo”. La drammaturgia è perfetta, c’è solo da raccontare, e alcune coincidenze sono così incredibili che si stenta a crederci: può capitare, assistendo a questo spettacolo, di ascoltare qualche spettatore sussurrare al suo vicino frasi come “No.. non ci credo!” “Incredibile!”.. “No dai, questa se l’è inventata..”. L’intenzione era quella di fare uno spettacolo mettendo al centro proprio questa storia, quasi a voler far dimenticare al pubblico i consueti aspetti collaterali dell’evento teatrale: che è uno spettacolo, che c’è un attore di fronte, che si è in un teatro, e via discorrendo. La forma è quella della narrazione per “monologo e proiettore”, perché se la narrazione consiste nell’ evocare con la voce ciò che lo spettatore poi visualizzerà nella sua immaginazione, beh, la straordinaria bruttezza delle teste prese per autenticamente modiglianesche.. no, quella no, non c’è attore in grado di evocarla: bisognava farle vedere, il pubblico doveva goderne lo spettacolo. Da qui l’idea di proiettare, oltre alle foto dei “capolavori”, alcune immagini d’epoca, perché fungessero anche da testimonianza di ciò che lo spettatore altrimenti avrebbe difficoltà a credere. Dal punto di vista attorale il lavoro si è indirizzato verso un divertito mimetismo della galleria dei personaggi che popolano la storia, a partire innanzitutto dalla riproposta della parlata livornese. E in quella Livorno abbiamo veramente una gamma completa di tipi umani, dal comico al drammatico, dalla farsa alla tragedia: quasi come in Romeo e Giulietta, questa storia è anche una specie di guerra tra vecchi e giovani: Jeanne Modigliani (figlia del pittore, un’arcana sacerdotessa della verità la cui misteriosa morte apporta note thriller da “Ustica del mondo dell’Arte”) opposta alla vitale disperazione di Angelo Froglia (autore di due delle tre teste ritrovate, che col suo estremismo artistico pare uscito diretto da un romanzo di Dostoevskij); sapientissimi “dottori” sbertucciati (Vera Durbé e i critici d’arte) contro allegre brigate d’arlecchini burloni (i tre ragazzi che realizzarono per scherzo una delle tre teste). E troppi assessori “Brighella” e politici “Pantaloni” a completare il canovaccio da Commedia dell’Arte. Ha una presa straordinariamente accattivante questa ridicola sconfitta senza appelli dei grandi critici, perché ha significato una batosta clamorosa per un certo tipo di cultura altezzosa, occhialuta, accademica. I cattedratici tirati giù dal loro sacro scranno non solo ci ha fatto sbellicare, ma hanno fornito davvero spunti di riflessioni sul senso dell’arte e della cultura nella società mediatica. Questa vicenda, per tutta la critica d’arte mondiale, è davvero un punto di non ritorno. Da autore del testo, ho ovviamente dovuto consultare molti libri e documenti vari che trattavano la questione, tra cui citerei “La beffa di Modigliani” di Giovanni Morandi, una puntata di “Mixer” di Giovanni Minoli e il documentario “Le vere false teste di Modigliani”, di Giovanni Donfrancesco; il tutto corredato da interviste ai “tre ragazzi” e a Massimo Froglia, fratello dello scomparso Angelo. Infine, questa storia è anche una sintesi meravigliosa dell’italianità con tutti i suoi “tipi”, nonché uno spaccato quasi sociologicamente completo di quegli anni. Erano i goderecci e rampanti anni ’80, ma in quel decisionismo cialtrone ci sono i segni dell’attuale deriva. Sono passati trent’anni, ma sembra ieri, e il mix di superficialità ed urgenza di questi anni arruffoni, renderebbe possibile che ciò possa risuccedere anche oggi.
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