The crime of the twenty - (13/12/16)


CANALE:
Teatro Belli 24 novembre 2016
THE CRIME OF THE TWENTY-FIRST CENTURY
di Edward Bond
traduzione Elettra Capuano
con Silvia Benvenuto, Cristina Cappelli, Desy Gialuz, Ottavia Leoni, Gianluca Merolli, Angela Monaco, Antonio Orlando, Valentina Pastore, Silvia Quondam, Morena Rastelli, Massimo Sconci, Diego Valentino Venditti
collaborazione alla regia Simone Giustinelli
scene Francesco Ghisu
costumi Annapaola Brancia D’Apricena
foto Simone Galli
regia di Pierpaolo Sepe

"Il mondo de Il Crimine del Ventunesimo Secolo è impensabile. Ma la storia dimostra che l'impensabile accade sempre - che l'impensabile diventa inevitabile."
- Edward Bond

Ne Il Crimine del Ventunesimo Secolo, Edward Bond dipinge un possibile futuro per l'umanità. Un futuro in cui non esiste passato, nè società, e la topografia - persino il cielo - è irrimediabilmente trasformata. Gli esseri umani vivono segregati in ghetti o prigioni. L'Esercito è onnipresente: non ne vediamo mai il volto, ma sentiamo il rumore dei suoi elicotteri.
Una donna, Hoxton, vive sola tra le rovine di una città rasa al suolo.
Tre individui solitari bussano alla porta della sua cella in cerca di acqua.
Grig - un uomo "stanco e impolverato" che ha abbandonato la moglie malata di cancro, Sweden - un giovane ragazzo scappato di prigione, e Grace – una ragazzina piena di rabbia in cerca della propria madre.
Tutti e tre promettono di andarsene. Tutti e tre rimangono.
La richiesta di acqua e riparo diventa il pretesto per una richiesta più urgente, più disperata, che ha a che fare con l'umano, con il suo bisogno di consolazione e di giustizia.

L'operazione di Bond è semplice. Ci presenta una società ridotta ai suoi caratteri essenziali – una donna e un rubinetto d'acqua – e poi ci mostra la sua feroce distruzione.
Nel farlo però il drammaturgo ha un merito precipuo, ed è quello di portare alla luce il paradosso che ci abita, conducendolo al suo limite parossistico.
I personaggi bondiani sono agiti da una logica spietata, in cui il desiderio di umanità non riesce ad essere espresso se non per mezzo della ferinità più disumana, e in cui la responsabilità per la propria innocenza sfocia nella perversità del crimine.
Nel teatro di Edward Bond i paradossi non vanno sciolti, ma capiti. Se una soluzione esiste per sottrarsi a questi meccanismi di violenza, non è una soluzione che va trovata, ma immaginata.
Teatro Belli 24 novembre 2016
THE CRIME OF THE TWENTY-FIRST CENTURY
di Edward Bond
traduzione Elettra Capuano
con Silvia Benvenuto, Cristina Cappelli, Desy Gialuz, Ottavia Leoni, Gianluca Merolli, Angela Monaco, Antonio Orlando, Valentina Pastore, Silvia Quondam, Morena Rastelli, Massimo Sconci, Diego Valentino Venditti
collaborazione alla regia Simone Giustinelli
scene Francesco Ghisu
costumi Annapaola Brancia D’Apricena
foto Simone Galli
regia di Pierpaolo Sepe

"Il mondo de Il Crimine del Ventunesimo Secolo è impensabile. Ma la storia dimostra che l'impensabile accade sempre - che l'impensabile diventa inevitabile."
- Edward Bond

Ne Il Crimine del Ventunesimo Secolo, Edward Bond dipinge un possibile futuro per l'umanità. Un futuro in cui non esiste passato, nè società, e la topografia - persino il cielo - è irrimediabilmente trasformata. Gli esseri umani vivono segregati in ghetti o prigioni. L'Esercito è onnipresente: non ne vediamo mai il volto, ma sentiamo il rumore dei suoi elicotteri.
Una donna, Hoxton, vive sola tra le rovine di una città rasa al suolo.
Tre individui solitari bussano alla porta della sua cella in cerca di acqua.
Grig - un uomo "stanco e impolverato" che ha abbandonato la moglie malata di cancro, Sweden - un giovane ragazzo scappato di prigione, e Grace – una ragazzina piena di rabbia in cerca della propria madre.
Tutti e tre promettono di andarsene. Tutti e tre rimangono.
La richiesta di acqua e riparo diventa il pretesto per una richiesta più urgente, più disperata, che ha a che fare con l'umano, con il suo bisogno di consolazione e di giustizia.

L'operazione di Bond è semplice. Ci presenta una società ridotta ai suoi caratteri essenziali – una donna e un rubinetto d'acqua – e poi ci mostra la sua feroce distruzione.
Nel farlo però il drammaturgo ha un merito precipuo, ed è quello di portare alla luce il paradosso che ci abita, conducendolo al suo limite parossistico.
I personaggi bondiani sono agiti da una logica spietata, in cui il desiderio di umanità non riesce ad essere espresso se non per mezzo della ferinità più disumana, e in cui la responsabilità per la propria innocenza sfocia nella perversità del crimine.
Nel teatro di Edward Bond i paradossi non vanno sciolti, ma capiti. Se una soluzione esiste per sottrarsi a questi meccanismi di violenza, non è una soluzione che va trovata, ma immaginata.
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