Erodiàs - (27/09/17)


CANALE:
La Pelanda 14 Settembre 2017 - Short Theatre
Erodiàs
testo | Giovanni Testori
con | Federica Fracassi
regia | Renzo Martinelli
dramaturg | Francesca Garolla
assistente alla regia | Irene Petra Zani
suono | Fabio Cinicola
luci | Mattia De Pace
consulenza artistica | Sandro Lombardi
creazione costume d’epoca | Cesare Moriggi
consulenza e reallizzazione oggetti di scena | Laura Claus
produzione | Teatro i – con il contributo di Regione Lombardia / NEXT
teatroi.org
“Jokanaan!”
Erodiàs, il più violento dei Tre Lai, inizia così, con un urlo reiterato che si fa gioco di parole, musica che parte dal nome ebraico del Battista e che giunge a poco a poco a conficcarsi nella carne lombarda dilaniata. Giovanni Testori ha dedicato a Erodiade più di un testo.
Renzo Martinelli e Federica Fracassi scelgono Erodiàs, l’Erodiade spodestata, posseduta, ossessiva, che balbetta. Erodiàs incarna un tempo in cui la ragione non è ancora arrivata: una zona d’ombra non illuminata dalla luce dello spirito, un eterno purgatorio in cui la conoscenza/coscienza non trova spazio. Un personaggio “sottovuoto”, una figura bidimensionale che vive dietro un vetro. Sulla scena un quadro che prende vita e, al contempo, un negozio o uno schermo: l’unica dimensione in cui Eròdias può ancora sopravvivere, seppur confusa da quel conzerto e conzertino di dubbi e domande che il profeta ha in lei provocato. Non è abbastanza averlo messo a tacere con un atto cruento e blasfemo: la testa di Giovanni, separata da corpo, continua a parlarle, la provoca, le impone interrogativi a cui non trova risposta. Erodiàs non è più l’Erodiàs che era, ormai è il Battista stesso. Di lui prende le fattezze, una maschera nella maschera, da lui prende parole che non conosce, che non stanno ancora nella sua bocca, di lui cerca segni in ogni dove. Da lui, dall’amore per lui, nasce il suo tormento: che fare? Come andare avanti? Questa domanda risuona anche oggi. Che fare di un Dio che è diventato uomo e che, come ogni uomo, può anche sbagliare? Che fare di un amore che si sapeva di carne eppure ha l’odore dell’anima? Lo spettatore assiste. Guarda e aspetta, non può fare altro. Attende. Come se non ci fosse altra possibilità che questa. Ma è così? Oggi, è davvero così? 
La Pelanda 14 Settembre 2017 - Short Theatre
Erodiàs
testo | Giovanni Testori
con | Federica Fracassi
regia | Renzo Martinelli
dramaturg | Francesca Garolla
assistente alla regia | Irene Petra Zani
suono | Fabio Cinicola
luci | Mattia De Pace
consulenza artistica | Sandro Lombardi
creazione costume d’epoca | Cesare Moriggi
consulenza e reallizzazione oggetti di scena | Laura Claus
produzione | Teatro i – con il contributo di Regione Lombardia / NEXT
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“Jokanaan!”
Erodiàs, il più violento dei Tre Lai, inizia così, con un urlo reiterato che si fa gioco di parole, musica che parte dal nome ebraico del Battista e che giunge a poco a poco a conficcarsi nella carne lombarda dilaniata. Giovanni Testori ha dedicato a Erodiade più di un testo.
Renzo Martinelli e Federica Fracassi scelgono Erodiàs, l’Erodiade spodestata, posseduta, ossessiva, che balbetta. Erodiàs incarna un tempo in cui la ragione non è ancora arrivata: una zona d’ombra non illuminata dalla luce dello spirito, un eterno purgatorio in cui la conoscenza/coscienza non trova spazio. Un personaggio “sottovuoto”, una figura bidimensionale che vive dietro un vetro. Sulla scena un quadro che prende vita e, al contempo, un negozio o uno schermo: l’unica dimensione in cui Eròdias può ancora sopravvivere, seppur confusa da quel conzerto e conzertino di dubbi e domande che il profeta ha in lei provocato. Non è abbastanza averlo messo a tacere con un atto cruento e blasfemo: la testa di Giovanni, separata da corpo, continua a parlarle, la provoca, le impone interrogativi a cui non trova risposta. Erodiàs non è più l’Erodiàs che era, ormai è il Battista stesso. Di lui prende le fattezze, una maschera nella maschera, da lui prende parole che non conosce, che non stanno ancora nella sua bocca, di lui cerca segni in ogni dove. Da lui, dall’amore per lui, nasce il suo tormento: che fare? Come andare avanti? Questa domanda risuona anche oggi. Che fare di un Dio che è diventato uomo e che, come ogni uomo, può anche sbagliare? Che fare di un amore che si sapeva di carne eppure ha l’odore dell’anima? Lo spettatore assiste. Guarda e aspetta, non può fare altro. Attende. Come se non ci fosse altra possibilità che questa. Ma è così? Oggi, è davvero così? 
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