Eneide - (18/02/14)


CANALE:
Teatro Argot Studio 7 Febbraio 2014 Arte e Spettacolo Domovoj presenta
“ENEIDE - CIASCUNO PATISCE LA PROPRIA OMBRA”
 da Virgilio, Ovidio, Marlowe
drammaturgia e regia Matteo Tarasco
con Viviana Altieri, Nadia Kibout, Giulia Innocenti
scene e luci Matteo Tarasco
costumi Chiara Aversano
assistenti alla regia Luca Gaeta e Katia Caselli
fotografie Pino Le Pera
organizzazione Marilia Chimenti
Una nube densa di fumo accoglie gli spettatori accorsi a vedere l'ultimo spettacolo di Matteo Tarasco. Il palco è cinto per tre lati da veli di organza macchiati di rosso. Da quello centrale emergono tre donne vestite di una ragnatela dal colore cremisi. Sono degli esseri spettrali provenienti da un luogo remoto nel tempo e nello spazio, che recitano una cantilena stordente di tutte le guerre che hanno insanguinato la storia dell'Uomo. Sono figure che recano nel petto un dolore senza fine e legate indissolubilmente ad Enea e al suo mito. La prima a parlare è la Sibilla Cumana (Giulia Innocenti), la quale, come se fosse Virgilio nella Divina Commedia dantesca, conduce l'eroe troiano nell'Infero, là dove i morti non trovano pace. Nel viaggio incontrano in principio Creusa (Viviana Altieri), la moglie di Enea, dispersa durante la fuga da una Troia in fiamme e ormai conquistata dai Greci; e poi Didone (Nadia Kibout), la regina fenicia di Cartagine, la quale, innamoratasi dell'eroe, si suicidò con la sua spada, dopo che egli l'abbandonò per andare incontro al volere degli Dei. Le due donne sono intrise di una viscerale comunanza tra Eros e Thanatos, dovuta nel loro caso ad un eroe che fondamentalmente è incapace di amarle perché chiamato dal Fato ad un più alto destino, la fondazione di Roma, piuttosto che a condividere con loro le gioie del matrimonio. Specialmente in Didone questa vicinanza tra vita e morte si fa più marcata perché ella incarna una ferinità ferita ed un abbandono ancora più straziante che in Creusa. A tirare le fila dello spettacolo è la Sibilla Cumana, che poi condurrà Enea nei campi Elisi e all'incontro con il padre Anchise, mentre lei, terminato il suo compito, si rannicchierà su se stessa aspettando quell'oblio che placherà finalmente il suo desiderio verso il Troiano. Nel complesso la drammaturgia e la regia di Matteo Tarasco sono animate di buone intenzioni e alcuni spunti del testo, tra i quali il guardare la Storia dal punto di vista delle donne, o di scrittura scenica come i costumi e la scenografia dei veli imbrattati dal sangue dell'Uomo caduto in guerra, sono realmente efficaci. Il problema è che a lungo andare si respira la pesante aria di un accademismo spinto che induce le attrici a badare maggiormente alla perfetta dizione delle battute che al comunicare delle emozioni al pubblico. Un modo di compiere il teatro che risente dalla volontà di strizzare l'occhio alle ultime mode vincenti (Emma Dante, Antonio Latella...), e non riesce al contempo a trovare, al suo interno, una struttura coerente e compatta, congelando in tal modo, nel testo e nella recitazione, la pur incandescente materia.
Alla fine ci troviamo di fronte ad un compito svolto diligentemente che lascia un po' di amaro in bocca per la ricerca, nella regia, del facile effetto, come quello di sparare dei controluce sugli spettatori mentre le attrici si dileguano dal palco; oppure di mettere una mielosa musica di pianoforte mentre Didone si affanna a spiegare come è potuta cadere in un amore così forte e disperato al punto di sacrificare il suo regno per uno straniero appena conosciuto.
Teatro Argot Studio 7 Febbraio 2014 Arte e Spettacolo Domovoj presenta
“ENEIDE - CIASCUNO PATISCE LA PROPRIA OMBRA”
 da Virgilio, Ovidio, Marlowe
drammaturgia e regia Matteo Tarasco
con Viviana Altieri, Nadia Kibout, Giulia Innocenti
scene e luci Matteo Tarasco
costumi Chiara Aversano
assistenti alla regia Luca Gaeta e Katia Caselli
fotografie Pino Le Pera
organizzazione Marilia Chimenti
Una nube densa di fumo accoglie gli spettatori accorsi a vedere l'ultimo spettacolo di Matteo Tarasco. Il palco è cinto per tre lati da veli di organza macchiati di rosso. Da quello centrale emergono tre donne vestite di una ragnatela dal colore cremisi. Sono degli esseri spettrali provenienti da un luogo remoto nel tempo e nello spazio, che recitano una cantilena stordente di tutte le guerre che hanno insanguinato la storia dell'Uomo. Sono figure che recano nel petto un dolore senza fine e legate indissolubilmente ad Enea e al suo mito. La prima a parlare è la Sibilla Cumana (Giulia Innocenti), la quale, come se fosse Virgilio nella Divina Commedia dantesca, conduce l'eroe troiano nell'Infero, là dove i morti non trovano pace. Nel viaggio incontrano in principio Creusa (Viviana Altieri), la moglie di Enea, dispersa durante la fuga da una Troia in fiamme e ormai conquistata dai Greci; e poi Didone (Nadia Kibout), la regina fenicia di Cartagine, la quale, innamoratasi dell'eroe, si suicidò con la sua spada, dopo che egli l'abbandonò per andare incontro al volere degli Dei. Le due donne sono intrise di una viscerale comunanza tra Eros e Thanatos, dovuta nel loro caso ad un eroe che fondamentalmente è incapace di amarle perché chiamato dal Fato ad un più alto destino, la fondazione di Roma, piuttosto che a condividere con loro le gioie del matrimonio. Specialmente in Didone questa vicinanza tra vita e morte si fa più marcata perché ella incarna una ferinità ferita ed un abbandono ancora più straziante che in Creusa. A tirare le fila dello spettacolo è la Sibilla Cumana, che poi condurrà Enea nei campi Elisi e all'incontro con il padre Anchise, mentre lei, terminato il suo compito, si rannicchierà su se stessa aspettando quell'oblio che placherà finalmente il suo desiderio verso il Troiano. Nel complesso la drammaturgia e la regia di Matteo Tarasco sono animate di buone intenzioni e alcuni spunti del testo, tra i quali il guardare la Storia dal punto di vista delle donne, o di scrittura scenica come i costumi e la scenografia dei veli imbrattati dal sangue dell'Uomo caduto in guerra, sono realmente efficaci. Il problema è che a lungo andare si respira la pesante aria di un accademismo spinto che induce le attrici a badare maggiormente alla perfetta dizione delle battute che al comunicare delle emozioni al pubblico. Un modo di compiere il teatro che risente dalla volontà di strizzare l'occhio alle ultime mode vincenti (Emma Dante, Antonio Latella...), e non riesce al contempo a trovare, al suo interno, una struttura coerente e compatta, congelando in tal modo, nel testo e nella recitazione, la pur incandescente materia.
Alla fine ci troviamo di fronte ad un compito svolto diligentemente che lascia un po' di amaro in bocca per la ricerca, nella regia, del facile effetto, come quello di sparare dei controluce sugli spettatori mentre le attrici si dileguano dal palco; oppure di mettere una mielosa musica di pianoforte mentre Didone si affanna a spiegare come è potuta cadere in un amore così forte e disperato al punto di sacrificare il suo regno per uno straniero appena conosciuto.
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